Villa Unda
Nel processo portato avanti ad Onna ho chiesto agli abitanti di mostrarmi le loro abilità, che si riflettono nella vita di tutti i giorni, i loro passatempi, le loro tradizioni, le loro abitudini, cercando di capire come le loro azioni siano cambiate da prima a dopo il terremoto, all’interno del nuovo spazio di riferimento. La mia intenzione è stata quella di trasformare semplici abitudini quotidiane in strategie necessarie per prendere coscienza del nuovo spazio che li circonda. Ho voluto dar voce alle esigenze degli abi- tanti, sottolineando i loro pensieri e il loro lavoro fisico, le loro pratiche spaziali, le loro abilità, non specialistiche, ma a mio avviso di necessaria importanza per la società, in quanto rientrano nella memoria collettiva di un luogo specifico.
In Villa Unda essi descrivono il loro nuovo spazio, il loro territorio in una modalità che permette allo sguardo del- lo spettatore di andare oltre l’oggetto, fino a ricostruire l’identità stessa del luogo. Le loro abilità sono ciò che permetterà di ribaltare una situazione complessa e osta- colata da una imposizione statale dello spazio ormai non più accettata, fruibile, vivibile.
Il libro creato insieme alla comunità onnese è uno strumento mobile: nelle pagine vi è la voce degli abitanti del paese, una voce che denuncia una situazione attuale, e che disegna attraverso le narrazioni del passato un cambia- mento spaziale, sociale e anche culturale.
Considero questo lavoro una presa di coscienza da par- te della comunità onnese, un punto di partenza per uno sviluppo e una accettazione delle dinamiche sociali con le quali ci confrontiamo ogni giorno.
La ridescrizione della città si nutre, a mio avviso, del suo continuo mutare, dell’ibridazione tra fatti e situazioni differenti, cercando di stabilire ponti tra il passato e il pre- sente, e costruendo così un ambiente eterogeneo e collettivo.
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