ATLANTIDE
Un luogo che contiene il suo passato, inciso sulle pietre squadrate degli archi, scritto sulle lastre inclinate dei lavatoi dagli spigoli smussati. Luogo lontano di voci sovrapposte di donna, di parole veloci dall’accento duro, di fatica di braccia, di mani che strofinano lenzuola bianche col sapone che ha il profumo pungente della lessia, profumo denso come le cose fatte in casa. Luogo di amori nuovi e di incontri clandestini.
Chi si avvicina adesso a quella fontana sente solo il rumore continuo dell’acqua che scorre. Bisogna scendere quelle scale, entrare sotto gli archi in pietra, accostarsi alle vasche, piegarsi, magari toccare l’acqua con le dita.
E guardare.
Ci sono frammenti di un mondo sommerso lì nel fondo, un mondo in apnea, immerso nello spazio liquido dei rumori subacquei. Un mondo sospeso, in attesa di sguardi capaci di restituirlo alla memoria.
Mai prima le fotografie di Errico Baldini sono state più intrise di malinconia. Il suo sguardo rimane quello di chi si smarrisce nei luoghi dell’anima svelando lo straordinario nell’ordinaria normalità che sta intorno, rifuggendo dalla pretesa di sorprendere ritraendo l’eccezione, scoprendo “nell’impercettibile, attraverso le cose insignificanti, l’anima poetica dell’universo”.
Ma c’è inquietudine adesso. I ritagli di quel paesaggio interiore sono coperti dal velo tremolante e incerto dell’acqua. Atlantide rischia l’oblio.
Eppure si avverte una tensione verso l’alto. Quelle immagini inabissate sono immerse in un liquido amniotico che spinge a nuova vita, attratte dalla forza gravitazionale della memoria di chi le guarda.
Il richiamo si sente. E’ un suono attutito deformato dall’acqua, sono note distorte che evocano e invocano, voci d’acqua, più dense, più grevi, senz’aria e senza luce, solo un riverbero proveniente da quassù. Le note, dilatate all’infinito o compresse, hanno l’incedere delle onde, sono andate e ritorni, ársis e thêsis, tempi deboli, senza battuta e senza ritmo, senza melodia, e ictus improvvisi, smorzati però dal corpo spesso dell’acqua che impedisce di stabilirne la provenienza. Anche i suoni come le immagini, sono frammenti, colti e raffinati, sovrapposti o interposti per ottenere armonia. Il paesaggio sonoro di Alien ha la consistenza di un corpo fatto a strati. L’ultima sfoglia è il rumore vero dell’acqua che scorre da una fontana ormai ir-reale.
Simona De Filippo
Commenti 0
Inserisci commento