Questo lavoro nasce da una riflessione sul senso dell'arte contemporanea e su come essa si connoti spesso in maniera autoreferenziale. Per realizzarlo ho scattato in vari musei d'arte contemporanea (MAXXI, MACRO, MOMA), cogliendo il momento come in un reportage. Le persone che ho fotografato non sono mai in posa. Innanzitutto ho evidenziato lo spaesamento della gente di fronte all'arte contemporanea. Gli sguardi al vuoto del pubblico denunciano l'incapacità di vedere e capire l'arte che ci viene proposta/imposta. C'è ancora molta distanza da colmare tra proposta artistica a fruizione consapevole. In secondo luogo, mi sono accorta di come buona parte della gente vada al museo giusto per poter dire: "Ci sono stato anch'io!". Un po' come si fa coi monumenti che si trovano per strada, al fianco dei quali ci si fa immortalare senza pensare minimamente a cosa essi rappresentino. Tanto più oggi, che gli edifici museali sono diventati opere d'arte in sé. Alla fin fine si va al museo con lo spirito con cui si scatta una foto/cartolina a un bel paesaggio: poca osservazione critica, piuttosto, un'ansia da prestazione dettata dal bisogno di fissare quell'attimo, di non dimenticarselo, di certificarlo ai posteri. Cancellare le opere d'arte è dunque uguale a sollevare "il velo di Maya", rivelando la banalizzazione della loro fruizione. Paradossalmente sono i musei più che le opere a uscirne messi a nudo.
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celeste,
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