Pharmakòs
Pharmakòs è un’opera con la quale cerco - più come alchimista che come scienziato - di esprimere nella forma dell’arte una teoria sul fondamento dei diritti umani elaborata nel corso del mio dottorato di ricerca in neuro-scienze cognitive. Più in dettaglio, in quest’opera mi sono occupato del diritto alla vita e all’integrità fisica, due principi forti che, come penso di aver sufficientemente argomentato nella mia ricerca, non derivano dall’arbitrio della decisione umana ma trovano fondamento nell’uomo o, come credo sia più corretto dire, si identificano con l’uomo, inteso in senso puramente carnale. Non è mia intenzione fare l’enigmatico ma per spiegare lo studio che realmente c’è dietro avrei bisogno di molte pagine e forse anche di un’attenzione da parte del lettore in questa sede inopportune e che dunque mi fanno desistere.
Concludo con la spiegazione del titolo dell’opera. “Pharmakòs” è una parola greca - che peraltro traduce benissimo la posizione di Socrate nell’Apologia - ed ha un duplice significato, quello di vittima e quello di carnefice. Il fruitore - ma, attenzione, questo accade solo se la si osserva dal vivo, per tutta una serie di meccanismi nervosi che vi risparmio - guardando l’opera, senza la necessità di una riflessione mediata dal linguaggio, viene proiettato in un orizzonte nel quale è sia la vittima che il carnefice della sofferenza che l’uomo rappresentato nel dipinto sta patendo. In questo modo si attiva nell’osservatore una sorta di doppio codice che non realizza un cortocircuito, ma che dovrebbe invitare ad una riflessione sulle violazioni di questi principi che si consumano reiteratamente nel mondo e che ci vedono sempre e comunque tutti responsabili.
L’arte, in questo caso la pittura (ma è possibile declinare il discorso per tutte le sue poliedriche espressioni) contiene una ricchezza che credo - oggi più che mai - possa e debba orientare non solo la ricerca filosofica ma anche quella scientifica. Se mi è concessa una divagazione, l’arte potrebbe diventare nelle nostre ricerche quel momento decisivo in grado di restituire alla nostra spinta verso una conoscenza dell’uomo e del mondo quello che, secondo Nietzche, era il dionisiaco. La scienza unitamente all’arte può finalmente superare l’apollineo e tentare di fare luce sotto lo schopenhaueriano velo di Maya.
Commenti 3
Ciao,
Lino
Inserisci commento