senza titolo
Lorenzo Canova
Fabio De Santis Scipioni:la sua pittura ha raggiunto un’ indiscutibile grado di maturità dopo un lungo percorso di rarefazione e di elaborazione iconografica e stilistica, in cui una pennellata rapida compie il suo tracciato sulla tela con una precisione quasi documentativa, delineando le figure con l’asciutta sintesi di un narratore che coglie subito il suo bersaglio senza digressioni.
De Santis Scipioni usa infatti uno stile essenziale e dinamico, che non si sofferma sulla bellezza della materia pittorica, ma sceglie una via di sintesi per dare maggiore energia espressiva alla sua rappresentazione. Il pittore focalizza dunque la sua attenzione su quella che si può definire una vera e propria inquadratura, spesso in primissimo piano, che costituisce la struttura compositiva del dipinto, e che l’artista seleziona e mette in scena con una speciale intensità, resa ancora più vibrante dalla scabra tessitura pittorica che costruisce la forma e lo spazio con uno stile compendiario, condensato in una stesura che con la sua ruvidezza rafforza il nitore delle immagini.
Fabio De Santis Scipioni si confronta quindi da un lato con il versante mediale, soprattutto con la fotografia di reportage e con il cinema, in una pittura vista quasi come un racconto fatto di istantanee in bianco e nero, in una scelta di monocromia (che ritrova ancora in Gerhard Richter uno dei suoi antesignani) che rappresenta un vero e proprio linguaggio internazionale, a cui però l’artista aggiunge una decisa connotazione personale che non lo appiattisce nella dimensione meramente cronachistica di una certa pittura globale, che ha scelto una banalizzazione estrema del suo linguaggio, della sua qualità formale e dei suoi contenuti.
Queste opere, tuttavia, non restano ferme alla superficie del reportage, ma rompono i nostri legami di senso con gli atti e le scene della quotidianità, le consuetudini che ci portano a ordinare un caffè a una barista, a fare una telefonata o dare uno sguardo in strada. Questi gesti, presenti nelle opere di De Santis Scipioni, sono però resi con un carico di inquietudine, un alone di incertezza perenne, si direbbe quasi di insofferenza, in un’atmosfera appesantita da una spessa cappa di dubbio e di esitazione. Le opere sembrano difatti alludere a uno stato di perenne e irrisolta stasi- forse quella che si addensa sulla stessa Italia, in senso politico, sociale ed economico- e portano alle spiazzanti figure di uomini contemporanei che indossano elmi da guerrieri medievali, in un abbinamento incongruo e di indubbia efficacia visiva che sembra riscoprire accostamenti prossimi alla Metafisica e al Surrealismo e che rende bene il sentimento di aspettativa senza esito e di scontro latente che si respira in un clima che potrebbe ricordare le attese senza soluzione del Godot di Beckett e de Il deserto dei tartari di Buzzati o certe scene ermetiche e paradossali del cinema dei fratelli Coen.
Così i protagonisti di questo ciclo recentissimo di quadri guardano verso qualcosa di ignoto e inquietante, fumano, scrutano e passeggiano nel caldo di terrazze desolate in scenari urbani appena accennati ma che restituiscono bene un senso di desolazione e di irresolutezza; oppure, come cavalieri antichi, guidano auto in ispezioni notturne di luoghi che probabilmente non saranno mai attaccati e i cui confini sono persi nella frantumazione di un mondo che sembra avere smarrito la sua struttura legante e dove il tempo si allunga all’infinito senza condurre a nessun esito reale. Tuttavia il senso di enigma e di conflitto che emerge all’improvviso è forse ancora più evidente nelle opere dove gli elmi e le cotte di maglia sono indossati da uomini intenti ad attività quotidiane come passeggiare sul tetto di una casa o riposarsi bevendo una birra. In questo contesto De Santis Scipioni ci aiuta bene a scoprire la violenza che ci circonda, nascosta nei gesti e nelle cose di tutti i giorni, gli urti, le lotte e i contrasti reali e simbolici contenuti nella nostra esistenza, la dialettica di un’attesa violenta e senza soluzione che il suo bianco e nero rivela con la solida e stringata incisività di una pittura che si trasforma nel documento significativo di un’epoca irrisolta.
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