Notturno
Guardate questa enorme struttura, nera – i cavi d’acciaio, le ringhiere, i ponteggi che scintillano nel buio. Immaginatela alta trenta, quaranta metri: i piloni che sorreggono la funivia si snodano per decine di chilometri; strisciano nell’indifferenza, nascosti dagli alberi, dai boschi, dai brevi orizzonti delle colline. Tutto si riduce ad una linea, scura – un taglio, sottile. Eppure c’è un tratto, decisivo, finale – inevitabile –, dove si congiungono tutte le arterie metalliche, dove le vene di ferro ricevono la spinta delle carrucole, degli argani, degl’infiniti ingranaggi – quel punto, definitivo, ove s’inverte la marcia dei vagoni che viaggiano sospesi, nel vuoto: questo è l’unico spazio per avvicinarsi, prima di essere respinti dalle recinzioni, dalle mura, dal filo spinato. Vedete coi miei occhi, adesso; alzateli con me: un’ombra scura, gigantesca, incornicia la luna – anzi, un sole spento – in un silenzio d’acciaio che non gli appartiene. La notte si rincorre fra le fessure, i cavi, i nodi di ferro. E piano accende una speranza stellata, intima, sommessa, che libra leggera fra questi mostri immobili, freddi, dolcissimi, sublimi.”
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