Da molto tempo ormai lavoro sull’identità e sulla sua definizione. La realizzo visivamente analizzando i meccanismi della memoria che si stratifica attraverso i vissuti e le esperienze di vita; per questo motivo in passato ho indagato l’infanzia, non per nostalgia, ma perché corrisponde ad una fase in cui si pongono le basi della costruzione della personalità e, nello stesso tempo, un periodo in cui tutto è ancora da compiere. Ciò mi ha portato a lavorare sugli album di famiglia e sulle vecchie pellicole di film 8 che hanno rappresentato il punto di partenza di molti miei progetti. In questo periodo sono approdata ad una fase di azzeramento, in cui affermare la propria identità significa negarla, la propria e quella delle persone importanti della nostra vita. E se andarsene significa apparentemente scomparire, nel profondo annullare la propria identità può diventare un modo per affermarla con più forza. Come dopo un dolore, un fallimento, un errore. Ed è per dar corpo a questi contenuti che ho colto l’opportunità della pellicola lacerata del film 8 da cui ho tratto i frames di Per Lapsus, nella quale l’immagine si perdeva nel bianco interrompendo la sequenza del racconto: due bambini giocano a picchiarsi, una macchina da presa li riprende, per cui non smettono e rischiano di farsi del male … “L’errore” tecnico interrompe momentaneamente l’azione, evitando che degeneri; quando riparte il filmato i bambini si ritrovano nella medesima posizione, ma la recita pericolosa è finita … I bolli bianchi della pellicola sgualcita degradano progressivamente nel bianco che, linguisticamente, diventa metafora di cancellazione; ma questo vuoto non è sterile, contiene in sé le basi di una rigenerazione. Così è per me il bianco, il limbo dei miei set di ripresa, la culla dei miei racconti. Una sorta di pagina bianca in cui tutto, come nell’infanzia, è possibile, tutto può essere scritto.
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celeste,
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