Trittico "Pop pARTy"
Tanto in campo musicale quanto in quello figurativo il termine Pop deriva la sua radice da Popular, ovvero popolare, non come minimizzazione di significati bensì come contrapposizione ad una Arte istituzionale inserita in margini e correnti ben precise, spocchiosa nella propria autorevolezza di capofila in termini di definizione di metodi e misure. Un’altra peculiarità della Pop Art è quella di sforare i limiti del puro figurativismo analogico e introdurre il ricorso alla concettualità come linguaggio dei segni, semeiotica, al pari della scrittura. Da questa importante operazione derivano poi il termine, ormai obsoleto, di contaminazione, cioè di utilizzo delle più diverse tecniche e artifici, e quello di performance, evoluzione dinamica della concettualità, fatta propria in modo stabile dall’Arte Contemporanea, ambito per questi motivi in perenne trasformazione e definizione.
Daniela Lorefice si pone, rispetto ai vertici di questa rinnovata geometria delle espressioni in modo a sua volta innovativo, inedito, autonomo. Il segno innanzitutto glissa sulla concettualità rifacendosi ad un superamento dei significati di memoria dadaista o surrealista, dove il vero concetto consiste nella stesura, intesa come sovrapposizione di strati da leggersi come centrifuga dei ruoli che la cultura si è annessi nel tempo senza averne completamente diritto. Nell’opera di Daniela, infatti, spesso il punto di partenza è l’illogico concettuale, il trito, esattamente come risultato del frullatore del pensiero che con questo drenaggio cerca di riattivare il significato offeso. La presenza ricorrente della scrittura è la vidimazione di un report cosciente di stili e correnti storiche non mescolate a caso, deriva anarchica del Pop, ma riassemblate in forma totalmente paritaria, come eguale tendenza delle varie espressioni a concorrere nel medesimo risultato di armonia grafica e pittorica, accezione autenticamente popolare del Pop.
Un altro aspetto di innovazione e gaiezza dell’opera di Daniela sta proprio nella contaminazione, che d’ora in avanti chiameremo per giustizia trasversalità, che non va letta come utilizzo di tecniche tecnicamente diverse, ma come variazione all’interno della stessa delle proprietà del suo linguaggio, come la reiterazione di simboli di uguaglianza in modo diseguale, o l’inversione delle forme medesime, o il contenimento di forme in segni e viceversa, in una implosione di colori che si fanno storia evasa e poi riattribuita, un tatzebao di ricollocazioni semantiche che ludicamente scimmiottano le verità, mettono alla prova continua la capacità di resistenza del sistema delle acquisizioni statiche in un cubo di Rubik dove la soluzione non sta nel colore uniforme ma nella composizione, stesura, della casualità significante che ha preceduto la logica e la matematica.
Ogni opera di Daniela è un mare nel quale navigare a piacere nelle dimensioni più variegate del sogno stesso dell’Arte, quella casualità illogica che è tratto comune di stili ed espressioni, onirica del concepimento, assoluto dell’esistere e resistere a qualsiasi omologazione e appiattimento, caratteristica primaria dell’Arte e in particolare dell’Arte Femmina o FemminArt.
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