There's plenty of room at the Bottom
Avvalendosi di una nuova spugna nata dalle recenti ricerche sui materiali porosi nanostrutturati sviluppate dall'IIT (istituto Italiano di Tecnologia) e ragionando sul suo possibile impiego per “catturare” gli idrocarburi dispersi in mare, l’opera si propone quale dispositivo per avviare una riflessione sugli apporti offerti dalla tecnologia nei disastri ambientali causati dall’uomo. L’installazione diventa così un luogo di incontro, discussione, interazione tra discipline diverse come la scienza, l'ecologia e l'arte; un'occasione per avviare un dialogo costruttivo e plurale in rapporto ad un bene comune così importante come l’ambiente e, nel caso specifico, il mare. Proprio giocando sulla ambiguità della parola bottom/fondo, che può evocare la profondità dei fondali marini, l’opera prende in prestito, quale titolo, la celebre frase “There’s plenty of room at the bottom” (C’è ancora un sacco di spazio là in fondo), con la quale nel 1959 Richard Phillips Feynman, lo scienziato americano ritenuto il padre delle nanotecnologie, diede un fondamentale impulso a quelle ricerche scientifiche che mirano ad accedere al “piccolo” potendolo controllare e modificare.
Nella ricorrenza dei 20 anni dall’affondamento della petroliera Haven nella rada di Genova - disastro che ha causato uno dei più gravi episodi di inquinamento da idrocarburi del Mediterraneo e le cui conseguenze, nonostante efficienti interventi di bonifica, perdureranno nel tempo - l’artista ha realizzato, ispirandosi alla ricerca tecnologica sviluppata all'IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) e con la consulenza scientifica del professor Alberto Diaspro, direttore dell'Unità di Nanofisica dello stesso istituto, una nuova opera multimediale legata al tema dell'inquinamento dei mari e della salvaguardia dell'ambiente, sposando così una delle missioni della Fondazione Muvita, promotrice del progetto.
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