Andare lontano per trovarsi, cercare nella natura le tracce dell’uomo per sentirne la violenza, cercare il contatto ma mediarlo con protesi colorate ambigue. Dall’acqua profonda ed estesa, affiora il viso riverso che cerca l’alto nello spazio claustrofobico tra pali che sorreggono un limite esiguo. La protesi è ciò che chiede aiuto e ne impedisce la richiesta, è una lingua prensile che non produce suoni ma visualizza la mano che cerca, è un manufatto talismano di materia industriale che ha in sé l’impronta del gioco infantile, è la memoria dell’infanzia e la trasformazione ludica del presente.
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celeste,
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