PIÙ SPAZIO PUBBLICO, MENO CONSUMO DI SUOLO
Partendo dallo studio morfologico di Milano, una delle città più densamente urbanizzate del Paese, è realistico pensare che, con case sempre più piccole e vite sempre più in rete, l’ancora di salvezza sarà da ritrovare nello spazio pubblico di relazione, inteso nella sua accezione più profonda e complessa, quella che parte dalle Agorà greche, passa per i mercati medievali ed arriva fino a noi (..come?).
Già oggi nelle aree più densamente urbanizzate non ci possiamo permettere ulteriore consumo di suolo.
Per questo abbiamo pensato di instillare il germe dello spazio pubblico in punti della città ora ignorati da tutti, ma molto presenti all’interno dello scenario urbano.
Si tratta dei tetti dei supermercati, vale a dire contenitori edilizi che abitano le città come cartelloni pubblicitari di mattoni.
Invadere le loro coperture è un modo per creare spazio pubblico senza nessun consumo di suolo, una soluzione decisamente low-cost a livello urbano.
Quello pubblico è lo spazio che più di altri agisce sulla qualità urbana e può incidere sul suo rinnovamento.
Lo spazio pubblico concepito come esterno senza compenetrazione tra pubblico e privato, come assenza di rapporto tra volumi e suoli, è un fallimento certo.
Non esistono il parco pubblico o la piazza, esistono solo pieni e vuoti che devono creare relazioni vitali tra loro.
Per questo motivo abbiamo focalizzato la nostra attenzione su un supermercato posto in corrispondenza della parte più a sud della circonvallazione milanese, una scatola edilizia nel mezzo di una corte già tagliata in due dal passaggio della linea ferroviaria urbana.
Chi abita lì considera l’affaccio del proprio alloggio sul tetto del supermercato come un retro; chi frequenta quel supermercato cerca di fare la spesa velocemente per andarsene il più presto possibile.
Se la copertura diventasse uno spazio vivibile e pubblico, magari gli abitanti ed i clienti del supermercato cambierebbero il loro parere e le loro abitudini.
Il nostro progetto prevede la costruzione di un volume che ospiti al suo interno due aule comunicanti e la cui copertura sia tutta praticabile, in modo tale da avere spazi aperti, alcuni dal suolo morbido (teak), altri dal suolo duro (cemento).
Oltre al volume sulla copertura del supermercato, abbiamo pensato a un forte segno urbano in grado di ancorare il progetto alla città. Si tratta di una quinta che arriva fino al piano della ferrovia e che può essere utilizzata per esposizioni e per rappresentazioni teatrali, ed è inoltre un elemento di landmark per chi passa col treno.
La corte in cui sta il supermercato ha delle pareti cieche, sfruttabili come superfici di proiezione per il cinema all’aperto.
Gli spazi previsti hanno vocazioni d’uso molto flessibili: sale comuni per le riunioni condominiali o di quartiere, aree espositive (sia al chiuso sia all’aperto), luoghi per prendere il sole sorseggiando un Martini o fare una lezione di yoga.
Spazi per perdere tempo (o per riprendersi il tempo perduto?).
L’architettura da sola non può ridisegnare il mondo né già progettare gli stili di vita (obbligando le persone ad agire secondo le sue intenzioni). L’architettura può però “dare forma” a un mondo che cambia e “offrire opportunità ” a nuovi comportamenti[..] è infatti nella capacità che si avrà di “dare forma” e “offrire opportunità” che si giocheranno molte delle speranze di andare verso una società sostenibile non per necessità o per obbligo ma attraverso delle “libere scelte” di soluzioni giudicate migliori.
Ezio Manzini, Existenz minimum rivisitato, da Lotus n.79, 1993
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