I WAS ON THE LUNAR SURFACE
Contemplando da una teorica distanza ideale l’insieme della produzione di Wolfgang
Zingerle notiamo che, da una parte, la sua ricerca procede contemporaneamente su
binari paralleli (superfcialmente potremmo chiamarli: quadri, sculture, installazioni) e che,
d’altra parte, il tempo conta relativamente poco nell’organizzazione di questi floni
produttivi.
Caso raro, è diffcile, nel lavoro dell’artista altoatesino, individuare una vera “evoluzione”
del linguaggio, un progresso, o regresso. Anzi, a dispetto delle apparenze, il suo lavoro
sembra “nato adulto” e mantiene, da una tecnica all’altra, un’ammirevole coerenza
interna, una capacità notevole di rinnovare continuamente le parole, le modalità di
approccio ma di non perdere di vista le questioni di fondo.
Prendiamo, per esempio, la pittura, i cosiddetti quadri. Zingerle ha preso le mosse, lo si è
detto, dal tardo-informale per poi accorgersi, quasi immediatamente, che le enunciazioni
di soggettività, le frementi, sensibili, solipsistiche, benché esteticamente appaganti,
espressioni dell’io non lo interessavano. Allora ha cominciato a dedicarsi allo studio delle
preparazioni antiche, delle tecniche tradizionali, medioevali e rinascimentali, tanto per il
legno quanto per la tela. Alla fne, una volta, esaurito questo “approfondimento”, fsico e
metaforico, non c’era più bisogno della superfcie (l’artista era già sotto), che infatti ha
incominciato a scaturire da sola dalle reazioni di ossidazione e di evoluzione naturale delle
patine. Ha senso, dunque, parlare non tanto di materiali quanto di reagenti e non tanto di
pittura quanto di esperimento controllato di un processo chimico.
Allora, un’altra volta l’opera fnisce immersa in un’atmosfera di relazione fra le cose, anche
se essa non manca di provocare, alla fne, un’esperienza estetica, non solo di colore (bel
colore e bei colori, godibili nelle nuances e negli accostamenti) ma addirittura di
paesaggio, evocato, talvolta, anche da titoli come "I was on the lunar surface", eseguito esattamente dieci anni dopo.
In altre parole: il paesaggio non è lì (non è stato dipinto) ma è suggerito, per esempio da
rivoli di colore che ricordano cascate, oppure da una linea orizzontale che al nostro
occhio in cerca di certezze e garanzie suggerisce appunto l’orizzonte. Sono, insomma,
“quadri” le cui confgurazioni, solo apparentemente “astratte” o, invece, memori di lontani
paesaggi, sono in realtà il risultato dell’attenzione, dell’osservazione accurata da parte
dell’artista, e della manifestazione controllata delle sostanze, o se si preferisce dei
“reagenti” che in quella circostanza egli ha messo in opera.
Commenti 0
Inserisci commento