Shoah e postmemoria
Shoah è il termine adottato recentemente in molti paesi, soprattutto dell’area non anglosassone, per riferirsi alle drammatiche vicende che videro protagonisti milioni di ebrei durante la seconda guerra mondiale. È stato il film documentario di Claude Lanzmann Shoah (1985) a diffondere la parola, di origine ebraica, come valida alternativa ad Olocausto, sentito come banalizzante e fuorviante per via dei riferimenti religiosi che richiama.
Fino a vent’anni fa era un argomento di nicchia, affrontato prevalentemente attraverso la testimonianza dei sopravvissuti. Mancava, in sostanza, un vero e proprio studio strutturato della materia. Oggi queste testimonianze stanno scomparendo, travolte dallo scorrere inesorabile del tempo, e in molti hanno iniziato a interrogarsi circa la necessità di non perdere questa memoria, affinché quanto si è verificato non accada mai più.
Ma com’è possibile conservare la memoria di un evento di cui non si è stati protagonisti senza smarrirne il senso profondo, evitando che le onde del tempo cancellino ogni traccia del male commesso?
È da questa domanda che nasce il lavoro di Gabriele Croppi, per il quale la rivisitazione dei luoghi della Shoah si è dimostrata «una doppia occasione di produzione “iconografica” e di verifica della stessa, in cui la “menzogna” di un atto estetico potesse contribuire alla conservazione o rievocazione di una “verità” storica» (Gabriele Croppi, Shoah e Postmemoria).
Shoah e postmemoria raccoglie 30 immagini scattate dall’autore in campi di concentramento, quartieri e cimiteri ebraici durante il viaggio compiuto in Austria, Germania e Polonia tra il 2008 e il 2011. Si tratta di rappresentazioni in cui il valore estetico prevale su quello documentaristico, al fine di risvegliare nello spettatore delle emozioni che attivino in lui il meccanismo della postmemoria. (...)
La presentazione del progetto prosegue al link:
http://vimeo.com/37591229
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