Piogge sintetiche
Quando Marc Chagall arriva a Parigi, dalla città natale di Vitebsk, in quel momento, con autorità quasi dittatoriale, trionfa sulla scena francese il Cubismo, nella sua variante finale, la più razionale e dottrinaria: quella del Cubismo sintetico. Chagall frequenta proprio l'ambiente dei pittori cubisti, incontrandoli ogni venerdì dal poeta ed editore Canudo. Ma più l'artista russo ascolta i loro discorsi “troppo” sofisticati, di cui capisce poco, più si rende conto che il suo approccio all'esistenza e all'arte sono sostanzialmente diversi. Molto diversi. «Moi» cercava di spiegare ad Apollinaire, «moi, je voudrais autre chose». Ed è proprio seguendo questa specie di dottrina chagalliana che è possibile accedere a Piogge sintetiche.
Un lavoro che è un Aldiqua in grado di raccogliere i simulacri del sogno, un luogo fisico che diventa metafisico in ragione di una forza che trae alimento dalla capacità di orientarsi verso esso attraverso una visio totalmente rovesciata, immaginaria. Spogliandosi delle immagini, rinunciando a tutte le rappresentazioni di forme e figure, ci si inoltra in una specie di esperienza spirituale, si penetra la sostanza dei sogni. Si tratta, dunque, di altre immagini, provenienti da altri istanti, attimi. Non ri-conosciute (e non ri-conosciuti questi attimi, se non per alcune note che intuiamo nel proprio pentagramma) ma recanti, nel loro manifestarsi, la coscienza di un'emozione e soprattutto la scoperta di uno spazio interiore manifestamente dato, infinito e “santo”....continua >>
Eleonora Manca
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