Testi e motivazioni per le selezioni del comitato di selezione incluse nel catalogo 'Premio Celeste 2012'


'Arte e Moda: incontri' di Antonio Marras

E’ stato un vero piacere curare la IX edizione del PREMIO CELESTE.
Mi ha infatti permesso, per così dire, momenti di totale immersione nel mondo dell’arte, un territorio in cui amo sconfinare. Per me è difficile limitare le esperienze a un solo ambito, ad esempio la moda. Mi affascina esplorare mondi sconosciuti, sperimentare, conoscere. Da ciò nascono le mie incursioni nell’arte, nella letteratura, nella poesia, incursioni che mi portano lontano dal mondo della moda ma forse solo in apparenza.
Del resto da sempre, per stilisti e designers, l’arte è stata fonte privilegiata di ispirazione e il binomio arte e moda è il più diffuso in tutti i tempi e in tutti i luoghi.
In realtà può dirsi che queste due espressioni creative abbiano operato più su percorsi paralleli che convergenti almeno fino agli anni Sessanta, quando alcuni stilisti rivolgono la loro ricerca all’ambito artistico e alcuni artisti si accostano a forme d’arte quali la body art o la performance.
Si stabilisce così uno stretto confronto dialettico tra mondo dell’arte e mondo della moda.
Alcuni studiosi sostengono che, se è difficile definire la moda arte, è pur vero che la moda utilizza il lavoro degli artisti, fonte di ispirazione. Dietro le sfilate, dietro l’industria della moda si cela un mondo interessantissimo, un terreno vergine in cui si muovono couturiers, copistes, mannequins, vendeuses, geni che pensano abiti per donne che non incontreranno mai, disegnatori che rubano idee, vite di vestiti creati, arricchiti, trasformati dall’incontro con chi li indosserà: un universo infinito che dà vita a storie affascinanti, a narrazioni in cui protagonista è finalmente l’oggetto da indossare, non chi lo indossa.
Arte e moda: due discipline  che si alimentano reciprocamente, che traggono forza dai loro incontri - scontri su territori familiari, separati da una sottile linea di confine. E se molti creativi non si considerano veri artisti,  la loro creatività li spinge lungo percorsi già esplorati da pittori, scultori, architetti, musicisti, a cui rendono omaggio attraverso i loro vestiti.


'Una risorsa' di Steven Music
Saluto tutti gli amici artisti che quest’anno hanno proposto le loro opere al premio; li ringrazio per l’impegno che mettono nel loro lavoro di artisti e per la scelta di mostrare le loro opere all’interno di Celeste! Arrivato alla nona edizione, il Premio Celeste ha raggiunto una certa maturità; seguendo la sua vocazione ha continuato a proporsi come premio nazionale per gli artisti emergenti. Infatti, lo straordinario contenitore virtuale a cui si appoggia l’attività del premio - Celeste Network -  è l’evoluzione della volontà di dare uno strumento contemporaneo agli artisti. Tutti noi del Celeste Team abbiamo lavorato e sperato in questa evoluzione: negli ultimi 12 mesi le visite al sito sono cresciute del 30%, passando, nell’autunno del 2012, ad una media di 8.500 visitatori al giorno. Attualmente ci sono 50.000 persone regolarmente iscritte al network, la stragrande maggioranza sono artisti che ne sfruttano le funzioni per farsi conoscere in Italia e nel mondo e ad oggi il network conta un totale di 120.000 opere d’arte e più di 10.000 eventi e progetti.
Un risultato straordinario, visto il modo ‘organico’ in cui è cresciuto il network negli ultimi anni, privo di uno sponsor economico, ma appoggiato da una miriade di sponsor tecnici. Fra gli iscritti questa forte sensazione di partecipare alla sua crescita è sottolineata dalle buone relazioni che in generale imperversano online – quasi tutti ottengono nuovi ed utili contatti per sviluppare i progetti che hanno a cuore, oppure promuovono con efficacia le loro iniziative in modo semplice e veloce come fino a poco tempo fa era impensabile!
Credo che Celeste sia diventata una risorsa per l’arte contemporanea italiana; e come conferma del profilo nazionale del premio, la curatela della nona edizione è nelle mani di uno stilista italiano di successo, Antonio Marras. Antonio dimostra ogni giorno come si può coniugare il lavoro creativo ed il mercato. Invitandolo volevo dare agli artisti italiani questo segnale forte di ‘possibilità’. A supporto del curatore, c’è la squadra di curatori e critici d’arte che hanno selezionato la rosa delle opere finaliste. Sono tutti professionisti di età molto diverse, proprio per questo riflettono le tante voci e visioni dell’arte contemporanea in Italia oggi: Giuliana Altea, Katia Baraldi, Lorenzo Bruni, Alberto D’Ambruoso, Marco Delogu, Daniele De Luigi, Laura Fanti, Renata Ferri, Carolina Lio, Anna Santomauro, Stefano Verri, Visual Container (Giorgio Fedeli, Alessandra Arnò). Anche quest’anno tanti, quasi 1.000 artisti, hanno scelto di sottoporre le loro opere al comitato di selezione a riprova dello spessore del comitato e della volontà da parte degli artisti di far visionare le opere a professionisti attivi nel campo. Grazie a tutti i curatori del comitato di selezione e ad Antonio e Patrizia Marras per aver effettuato pazientemente le ottime selezioni di quest’anno. Colgo l’occasione per ringraziare la Regione Lazio per averci accolto negli spazi ex-GIL di Roma per la mostra finale; Alessia Autori e Dominque Lora di GlocalProject per l’organizzazione dell’evento finale e la comunicazione; e il nostro editore Gigi Zoppelli di ZeL Edizioni per la realizzazione e distribuzione del catalogo. Infine, Silvia Li Pira e Giulio Machetti del team in ufficio che hanno portato le loro idee ed impegno alla riuscita del premio. Grazie!



Katia Baraldi

“Memoria fluida” di Alessio Ancillai per l’originale creazione pittorica del processo di produzione del pensiero, legame tra memoria a breve e a lungo termine.

“Senza titolo” di Ping Li per il cromatismo e la luce creatrici di volume e materia.

“Senza titolo” di Elena Ascari per una pittura “ricercatrice” del senso di una realtà frammentata in bilico tra reale e virtuale.

“We need to enjoy this moment” di Emilia Petri per l’abilità tecnica e la resa dell’istantaneità del vivere.

“L’Accidia” di Giuseppe Sassone per il confronto con una tradizione raffigurativa cristiana riletta nella sua odierna declinazione di cecità autodistruttiva.

“Mayan prophecy 2012” di Agency for disasters per l’ironico cortocircuito di svelamento delle contraddizioni presenti nell’odierna “moda” per antichi timori di catastrofi apocalittiche.

Emanuele Serafini per l’analisi dei meccanismi che sostengono regole e convenzioni della società con “Speech about crysis” nell’ambiguità sottesa al libero arbitrio e al rispetto della proprietà; con “Esistere” per il dispositivo d’indagine delle strutture interne che costituiscono i processi di selezione di un premio d’arte.

“Fine a se stesso” di Afterall per la concettualizzazione e formalizzazione dei limiti della comunicazione.

“Tk 18” di ElleplusElle, per il ribaltamento dei ruoli e l’attivazione di un’azione in cui i fruitori sono essi stessi opera.

“Saluti da Pozzoli” di Mauro Falsini per l’approccio sinestetico e di studio del linguaggio video.

“32 dicembre” di Fabrizio Bellomo per l’uso del tempo fotografico in video e all’ avvicinamento ai soggetti ripresi.

Stefano Scheda per il suo lavoro sulla percezione della realtà e sull’illusione percettiva.

“Moto” di Ping Li rilevante per lo studio della luce e dell’ombra con cui crea spazi e volumi.

“Towns” di Luther Blissett per la definizione crudele e ambigua delle città in cui viviamo e che a loro volta ci definiscono.

“Il Fico” di Rossella Santoro per la restituzione dell’intensità espressiva del soggetto.

“Berlino BGL # 76” di Carlo d’Orta per un’architettura che ridiventa principio geometrico.

“Il pensiero di Empedocle” di Cosimo Terlizzi per l’attualizzazione del pensiero del filosofo come metafora immaginifica dell’identità molteplice e dualistica contemporanea.

“What father sees, England, 2011” di Jacqueline Tune per la composizione formale e la capacità di creare un’immagine di tenerezza nostalgica.

“Dittico 2011” di Adriana Iaconcig per la traslitterazione iconografica e simbolica rinascimentale nella costruzione di contemporanee identità sulla soglia dell’età adulta.


Lorenzo Bruni
La pittura è la tecnica artistica che rispetto alle altre a disposizione risulta più difficile giudicare poiché fa parte del linguaggio considerato ordinario dal medioevo ad oggi e per questo è quella che ha subito maggiori sperimentazioni e destrutturazioni delle sue potenzialità espressive rendendo tutto ciò che viene proposto o già visto o un semplice tentativo. Le opere selezionate per il Premio Celeste hanno in comune un mettere in crisi, da parte dell'autore, il rapporto tra rappresentazione e forme sulla superficie, tra illusione e messa in evidenza dei mezzi stessi con cui la pittura si manifesta. Francesco Melone ha realizzato un'acquerello di una bambina che canta avvolta da malinconia nostalgica che si districa sui segni del cartamodello degli anni 30 su cui è raffigurata. Il quadro di Antonio Mele presenta una situazione surreale (pinguini in un parco assolato mentre un uomo dorme contorcendosi sulla panchina) con una pittura impressionista e a macchie. L'opera di Png Li è un rappresentare il colore e la luce in maniera quasi tautologica proponendole però su forme volumetriche decorative. L'acquerello di Cristiana Depedrini invece presenta frammenti di case di NY come elementi sopravvissuti a un cataclisma o come cartoline fuori scala. Eloise Amadei presenta il concetto di effimero di Saint Expery con l'istante di due fiammiferi accesi come a formare il numero 11 che nella nostra cultura contemporanea rimanda agli attentati del settembre 2011 a NY. Queste opere presentano per tecnica e temi una fragilità che è quella dello stato della pittura contemporanea immersa in una enormità di nuovi mezzi comunicativi che reagiscono in tempo reale ai fatti del presente, ma ancora legata alla lotta a cui è chiamata a rispondere di rendere eterni fatti destinati altrimenti a disperdersi nel tempo. Con le opere della sezione fotografica la relazione tra figura e sfondo, affrontato in parte anche nelle opere pittoriche, diviene il campo di battaglia su sui interrogarsi, da parte degli autori, sui limiti espressivi di questo mezzo apparentemente “oggettivo e immediato”. Le cinque opere selezionate ribaltano la questione creando situazioni in cui le azioni si collocano al di fuori del normale scorrere del tempo per una dimensione quasi mitica. Così lo scatto di Francesca Parità presenta un uomo piegato vero il terreno che quasi si confonde con lo sky line delle pietre che ci ricordano le barriere dei porti creati per proteggere le abitazioni dall'irruenza della natura. In questa foto non abbiamo una profondità di campo o un al di là, perché tutto si concentra sulla superficie e su noi spettatori che ci troviamo ad osservare quell'immagine. Questo approccio è presente anche nella foto di Sara Lucas di un corpo le cui gambe e natiche sono scoperte e messe in evidenza dalla posizione, forse per prendere qualcosa in alto, in equilibrio su una sedia coperta da una stoffa mimetica militare e nella foto virata in rosso di Marica Moretti che ha rifotografato un'immagine di un suo album di famiglia. Questo essere fuori dal tempo viene anche associato alla caratteristica propria dell'opera d'arte come nell'immagine di Mario Daniele che consiste in una bambina/puntino rosso in un grande spazio bianco che si rivela essere il famoso museo/whit cube agognato da tutti gli artisti e dal pubblico dalla metà anni novanta, mentre Giovanni Passinato presenta uno scatto di due personaggi che si incrociano e si osservano di malocchio sul marciapiede alludendo alla famosa opera fotografica dell'artista canadese ricordata dal titolo: after jeff wall. Le opere video selezionate sono quelle che cercano di uscire dalla cifra stilistica con cui si è sviluppato e ha trovato una sua autonomia in Italia dalla fine anni Novanta: osservazione del reale con una forte connotazione personale per introiettare problemi intimi e osservarli da un punto di vista squisitamente collettivo e quindi straniante (percorso reso possibile dalle opere di quegli anni di Ottonella Mocellin, Sissi, Elisabetta Benassi, Monica Bonvicini, Marzia Migliora, Stefania Galegati, Italo Zuffi, Domenico Mangano e altri). In questo caso Stefania Balestri usa il video per esorcizzare le paura di un passato troppo ingombrante o troppo ordinario e uguale a tanti altri o forse no. Garden Fourough crea un film sulle suggestioni legate a un'opera di una poetessa iraniana stabilendo una relazione dialogica interessante tra allucinazione e realtà, tra paranoie e sublimazioni delle stesse. Simona Barzaghi simula una allegoria dello sforzo umano o una rappresentazione del mito di Sisifo con persone che continuano a fluttuare in aria trascinandosi con le braccia lungo delle funi di cui però non possiamo conoscere da dove vengono e  soprattutto dove portano. Luther Blisset con una tecnica da video clip crea una carrellata di istanti che animano le città e che sono uguali da città in città come le sedute di yoga, mentre Fabrizio Bellomo realizza dei tableaux vivant con rivenditori di fuochi d'artificio in una periferia non ben identificata come in attesa di qualcosa di veramente interessante da festeggiare o che si è inevitabilmente concluso da poco. Con i selezionati per la sezione di scultura, installazione e performance è evidente la ricerca attorno all'evocazione del corpo dell'uomo. Il soggetto però è evidente in queste opere che può essere individuato solo con l'aiuto e in relazione alla società o al gruppo di riferimento di cui fa parte come ha farci presente l'attuale mancanza di piazze fisiche in cui esperire l'incontro e soprattutto la mancanza di moventi forti per creare un momento di aggregazione nella nostra “modernità liquida”. La scultura del cono gelato di Elsa Lumiere evoca i fatti della primavera araba ammantando le notizie del web, che ricoprono il piedistallo, di una strana patina di malinconia visto che la forma che sostiene è un cono prossimo allo scioglimento. La scultura di Emanuele Serafini consiste nella sua stessa automobile che è stata graffiata per scrivere testi e segni dal cittadino che passava per la piazza di Bologna sotto l'invito dell'artista che così rompeva il tabù della proprietà privata e del consumo a favore di una esigenza collettiva di dialogo da visualizzare in maniera immediata e senza filtri. Il progetto di Agency for disaster ruota attorno a un contatore che evoca le colpe dei disastri umani. Di chi è la colpa? Di tutti e nessuno sembra ricordarci l'opera visto che siamo in una società in cui le guerre non producono morti, ma solo effetti collaterali poiché compiuti a distanza attraverso computer. L'opera di Leonardo Zuccary Marchi è un modello di un museo di forma pura che mette in discussione o la conferma l'impianto prospettico di tipo rinascimentale che però è destinato ad accogliere il pubblico come in una cattedrale nel deserto come a sottolineare l'esigenza di nuovi luoghi di “culto” e di aggregazione che devono ancora trovare consensi. La performance di Emanuele Serafini invece non solo evoca, ma chiede il contributo della nuova comunità dell'arte nel voler rappresentare i meccanismi con cui vengono selezionate le opere di questo stesso concorso del Premio Celeste cercando di far riflettere sui meccanismi di controllo e di giudizio fatti di un I like o I dont' like di facebokkiana attitudine.


Alberto Dambruoso
Tra i tanti premi riservati agli artisti messi in palio nel nostro Paese, il Premio Celeste, giunto quest’anno alla sua IX edizione, è sicuramente uno dei più qualificanti. Molti artisti che stimo e con i quali ho avuto modo di lavorare, vi hanno partecipato in passato e alcuni di questi sono risultati anche vincitori.  
In qualità di selezionatore devo ammettere che ho avuto anch’io una grande opportunità, che, fino a poco prima dell’invito rivoltomi, non avevo mai preso in considerazione. In altre parole vedevo queste premiazioni come una grande occasione riservata solamente agli artisti mentre invece si è rivelato altrettanto per me un momento propizio per scoprire nuovi talenti artistici.
Il compito non è stato per niente semplice perché oltre alla grande mole d’iscrizioni e di conseguenza di opere da visionare, è stato molto difficile selezionare un’opera piuttosto di un’altra. Mi è capitato ad esempio di selezionare alcuni artisti e la settimana successiva, trovando alcune ultime entrate molto interessanti, di sostituirli con grande dispiacere dei primi perché forse potevano comunque gareggiare alla pari.  Ma si sa, le regole sono le regole e a quelle mi sono dovuto attenere.


Laura Fanti
A conclusione del lavoro per il Premio Celeste 2012 sono emerse sorprendenti affinità tra le opere che ho selezionato.
Alla base di molte sussistono riflessioni sull’identità, parola che viene brandita da più parti nella nostra società per invocare un’appartenenza spesso in modo inconsapevole – e irresponsabile.
Gli artisti ci ricordano, piuttosto, come l’identità sia principalmente una faccenda dell’anima e come il lavoro su di sé si caratterizzi per un’infinità di sfaccettature. L’introspezione può avvenire in uno spazio limbico, come nel video spaesante di Armida Gandini, o alloggiare in un décor teatrale, come nel progetto di Eleonora Pecorella. In entrambi i casi si riflette su chi si è, nel primo cercando delle coordinate e lavorando sul proprio corpo, nel secondo studiando la propria immagine, eterno conflitto tra il nostro desiderio di essere e il nostro profondo io. In questo viaggio si può passare attraverso un turbamento nato da un sogno o un’allucinazione (le foto di Alessandra Baldoni e Donatella Izzo), mentre la consapevolezza più profonda può condurre a pensieri estremi, di autodistruzione, come nella pittura di Elisa Cella (Mangiando se stessa).
La memoria è l’altro tema ricorrente. Da sempre ambito di ricerca della fotografia (come ci ricorda il poetico lavoro di Flavio Romualdo Garofalo), interessa anche altri linguaggi, come il video Mi fa pena il giardino di Garden Forough, intensa riflessione sull’abbandono e sulla solitudine, girato sulle strofe di una poesia dell’iraniana Forough Farrokhzad, e la pittura, come nel lavoro di Romina Giuliani che ci parla della memoria individuale, dove lo scavo interiore si unisce al processo temporale e dove l’inchiostro si fa gouache per cancellare la durezza del segno.
Le questioni socio-politiche sono le più complesse da tradurre visivamente, il rischio di cadere nella tautologia e nella retorica più banale è frequente. Bruna Chiarle e Angelo Bertini hanno superato brillantemente questo rischio, la prima con l’installazione-performance Questo mondo non mi somiglia, dove dialogano l’intelligenza che fa nascere le vetrate artistiche e le brutali pretese dell’economia attuale; l’altro con la raffinata video-performance Heartbeats, dagli spunti esistenziali e dai risvolti più sottilmente politici. L’installazione di Barbara Matera (Arbor Vitae) è, invece, volta a sensibilizzare su tematiche ambientali, con pratiche care a Beuys. Infine, il video Towns di Luther Blissett restituisce l’inesorabile decadenza delle grandi città, prive di identità e terreno di omologazione.
Tra coloro che hanno soffiato aria nuova nelle tecniche più tradizionali, come pittura e scultura, Angelo Sturiale e Marco Milia. Il primo con dei lavori sensazionali della serie Seibutsu, novelli cadavres exquis, nati in realtà da un complesso rapporto tra autocontrollo e predisposizione all’ascolto. Milia con un progetto basato sull’illusione ottica, che impiega i quasi-cristalli, materiale sintetizzato di recente, dove la condizione dello spettatore è fondamentale, così come lo è nel gioco di specchi creato da Heidi Ambach.
Ping Li e Giuseppe Biguzzi rielaborano sapientemente la tradizione, con la loro essenzialità realizzano il primo una riflessione sul linguaggio della pittura, il secondo un dialogo originale tra linea e colore, con rimandi all’Espressionismo e al Fotorealismo. Il bianco e nero di Francesca Parità (Vanità e Decadenza) è, invece, una personale visione della fotografia artistica con allusioni pittoriche ammalianti.
Le nuove tecnologie la fanno da padrone nei video di Moinonplus (Electric Tree), dove è forte  l’ossessione acustico/visiva, e di Monica Marioni (Submitted), grottesca visione dei legami sentimentali dove non mancano i riferimenti al cinema delle origini.

Conclusione
L’arte è e deve essere risposta, oltre che interrogazione, per questo ho apprezzato particolarmente quegli artisti che non si sono limitati a denunciare, ma hanno aperto a nuove prospettive concettuali e all’elaborazione di pratiche artistiche originali, ma anche coloro che, pur attingendo alla tradizione e a linguaggi consolidati, hanno dimostrato una propria personalità e una propria visione del mondo.


Anna Santomauro
Le mie scelte all'interno della sezione pittura sono per la maggior parte connotate da uno sguardo deformato e selettivo su scenari urbani possibili: dalle città collassate di Vinsgrosso, dalle visioni architettoniche filtrate da reticoli ossessivi di Valentina Cirami, fino ai cani dipinti da Fabio Presti, immersi in uno sfondo vuoto, incrostato e denso, in cui lettere e sagome dialogano come in un rebus irrisolto. Un'ambiguità simile si riscontra in Ballata delle teste fasciate, che richiama le forme dei cataloghi medici ottocenteschi, e in cui alle immagini frontali fanno eco un Fa #, un Si e un Do.
È una finestra sulla vita pubblica e privata di oggetti e persone quella aperta dagli artisti che hanno proposto lavori fotografici: in Un passo dietro te #79 di Maurizio Cogliandro l'osservatore è allontanato dalla scena principale, facendo sì che gli esseri umani e tutto ciò che a essi è funzionale risultino sovrastati dall'incombente paesaggio autunnale. Clinamen di Ninni Donato affida la narrazione di vite e vicende umane a un cumulo di fogli ingialliti, protocollati e archiviati, provenienti da un carcere dismesso; What Father Sees di Jaqueline Tune, la cui struttura formale richiama il filone della pittura di interni olandese, trova l'osservatore in piedi accanto al letto su cui siede un uomo che guarda fuori, oltre la finestra che lo separa dal mondo esterno; Matteo Casilli ruba una scena di vita quotidiana in Family New York, congelando e restituendo allo sguardo collettivo la casualità e l'intimità di un un momento; si può parlare di congelamento anche in Star di Asil Turker, che guarda dal basso verso l'alto una giostra il cui effetto straniante è determinato dalla distanza così come dallo sfondo plumbeo.
La sezione video privilegia l'attitudine performativa tanto dell'artista, quanto dei protagonisti dell'opera: in 32 dicembre Fabrizio Bellomo sosta davanti ai suoi soggetti (venditori abusivi di fuochi d'artificio davanti al proprio banchetto a Bari), fingendo di scattare una fotografia mentre invece realizza il video, dilatando così i tempi di posa e mettendo i soggetti in una condizione di imbarazzo e disorientamento. Un uomo nudo trascina un albero (apparentemente un albero di Natale) in mare, seguendo un percorso lineare, ma senza raggiungere alcuna meta; Simona Barzaghi mette i personaggi del suo video in una condizione simile: richiamando le esercitazioni militari, essi si spingono, appesi a una corda, verso un luogo indefinito e irrilevante. L'ambiguità è al centro del video di Ping Li, Moto, che vede un'ombra muoversi all'interno di una superficie bianca che potrebbe essere ovunque e da nessuna parte, uno spazio vuoto dove il movimento non è altro che un atto dinamico fine a se stesso. Luther Blisset firma una ricognizione di stampo antropologico e documentaristico legata all'essere de-territorializzati in luoghi urbani iper-funzionali  e funzionalizzanti all'interno dei quali gli esseri umani si muovono come pedine guidate dall'infrastruttura.
Tra le opere della sezione installazione, scultura & performance, Fine a se stesso di Afterall e In my concert di Raffaele Fiorella nascono da una profonda instabilità espressiva: Fine a se stesso prende le mosse dalla trascrizione di una lettera e dalla sua interpretazione – mediazione in condizioni di incompatibilità linguistica; In my concert invece costruisce un ambiente dalla forte connotazione teatrale per mettere in atto un desiderio (suonare il pianoforte), che si realizza solo nell'ombra e nell'illusione scenica e performativa. Hanno un carattere più politico e sociale i lavori di Simona Da Pozzo e Emanuele Serafini: Erba Medica mette in primo piano la componente partecipativa dell'opera, un tappeto di erba medica lasciata crescere per cinque giorni per poi essere mangiata (brucata) direttamente nel luogo in cui è cresciuta. Una riflessione sulla sostenibilità e sul consumo, un dispositivo in cui è l'opera stessa a curare i suoi fruitori. I lavori di Serafini, invece, mettono in discussione in modo diretto ed evidente i meccanismi della nostra società, dentro e fuori il mondo dell'arte, prendendo in prestito dal mondo del consumo i simboli stessi del sistema di cui siamo parte, come l'auto, o come la partecipazione stessa al premio da parte dell'artista. Nel fare ciò l'artista delinea criticamente lo stato delle cose, affermando la sua identificazione e integrazione polemica e lucida con la società.


VisualContainer

La selezione effettuata da VisualContainer si basa sulla capacità delle opere di esprimere un linguaggio estetico in attinenza con le più attuali ricerche nell’arte contemporanea e un contenuto poetico in grado di riflettere le problematiche ed istanze del nostro terzo millennio. Così, nella sezione Video sono state scelte le opere di Armida Gandini, Patrizia Bonardi e dei gruppi d’artista  Karin Bernini-Diego Parolini-Simonetta Lodesani e Con.Tatto video performance art come esempi di performance efficace nell’esprimere il disagio esistenziale e la ricerca di identità nella  contemporaneità, mentre il lavoro di Angelica Porrari si è imposto in qualità di nuova forma audiovisiva attenta al contenuto narrativo.
Le problematicità dello spazio e del tempo caratterizza anche la stesura ad acrilico di Cristiana Depedrini  e lo stesso mezzo espressivo è scelto da  Andres Gallo-Cajiano per dare forma alle aporie del presente, da cui si può forse trovare rifugio entrando negli spiragli di mondi e consonanze interiori appena oltre la tela di rmc e Teresa Implatini.  Marco Longo sceglie invece di affrontare il reale restituendone efficacemente i valori materici e lumistinici, riavvicinandoci agli oggetti della quotidianità. Preferisce invece relazionarsi con le azioni interpersonali l’opera digitale di Jacqueline Tune, memore probabilmente dei grandi maestri pittorici del silenzio, proponendo un’assenza di voci che permea anche il dittico di Adriana Iaconcig , alla ricerca di un equilibrio tra il singolo e la collettività che è ben presente pure nelle costruzioni multifocali di Luciano Romano e Mario Rossi, per divenire infine motto ironico della globalità europea in Maria Grazia Giacente.
L’ironia ed il gioco sanno farsi dunque riscatto delle realtà, infrangendo le barriere per nuovi ordini di azioni e reazioni, come accade nell’installazione di Altrosguardo, negli incastri costruttivo-poetici di Carlo Strano o nell’oggetto installativo di Sebastian Contreras, che ritorna con morbida durezza al presente, mentre la scena audiovisiva di Raffaele Fiorella allerta sui dubbi percettivi della realtà e la video performance di ElleplusElle gioca con il sistema dell’arte dentro angolature e spigolature diverse da quelle ufficiali.