Motivazione
del curatore Marinella Paderni

Vince il 1° premio l’artista inglese Victoria Ahrens con l’opera fotografica Arkadia I per aver interpretato al meglio il tema del concorso - l’errore come incidente casuale avvenuto  durante il processo di realizzazione dell’opera - sia dal punto di vista concettuale che tecnico, impiegando l’errore come elemento di arricchimento dell’immagine anche nella sua dimensione estetica.

Vince il 2° premio l’artista italiano Emilio Vavarella con l’opera fotografica The Sicilian Family per l’innovativo processo di utilizzo del lapsus e del caso nella costruzione dell’immagine fotografica e della sua memoria facendo ricorso ad un loro uso inedito e creativo.

Vince il 3° premio l’artista francese Nathalie Dallies con l’opera video Maria per la sua abilità creativa nell’aver trasformato l’impossibilità di una situazione e gli imprevisti avvenuti in corso d’opera di un progetto in un lavoro di riflessione e di approfondimento della natura psicologica del soggetto ritratto.

Una menzione speciale va all’opera Catturare l’anima di Roberto Dapoto e Kuonesa Beyond Seeing di Cornelia Mittendorfer per aver trasformato l’idea del lapsus in immagini molto intense, cariche di suggestioni psicologiche e emotive sul concetto di sguardo.



L’incanto dell’errore

Il successo riscosso nel 2012 dalla prima edizione del premio dedicato da Celeste Network alla fotografia e al video è stato il miglior stimolo per presentare quest’anno una seconda edizione potenziata, che vede tra le novità anche la selezione di un numero maggiore di finalisti, passando dai 10 dell’anno scorso ai 15 di oggi.

Tra i punti di forza del premio c’è la scelta di un tema portante, centrale, che riflette le linee di ricerca della fotografia contemporanea e le tendenze espressive verso cui gli artisti stanno dirigendo il loro sguardo. In questo modo il premio si è trasformato sia in un’occasione speciale per presentare lo stato attuale della ricerca di ciascun artista sia in un momento di verifica corale, di dimensioni internazionali, sulle istanze più innovative del linguaggio fotografico e video all’interno della riflessione artistica. Non solo, la mostra dei finalisti rappresenta poi un luogo e un tempo di dialogo tra artisti differenti per nazionalità e per generazione, un momento di confronto tra diverse visioni culturali nell’ambito dell’arte contemporanea.

Per l’edizione 2013 ho volutamente scelto un tema che fosse sia specifico della fotografia che universalmente sentito all’interno dell’esperienza artistica attuale. Studiando quotidianamente la nascita dell’opera d’arte, la sua genesi ideale e progettuale, negli anni mi è capitato spesso di parlare con gli artisti di quegli “incidenti” che incorrono casualmente in corso d’opera e che decidono le sorti del lavoro imprimendo una direzione al suo sviluppo formale e concettuale. Alcune volte questi incidenti sono cercati dagli artisti perché offrono loro l’opportunità di sperimentare nuove possibilità espressive o di reinventare il linguaggio stesso della fotografia.
I risultati di questo processo aleatorio mi hanno sempre affascinato come pure la capacità rara degli artisti di mettersi in gioco attraverso l’errore, di affidarsi all’incertezza del caso e all’incontro con l’imprevisto, come se il destino dell’opera d’arte fosse qualcosa ispirato da una forza superiore, una specie di alchemica magia a cui l’artista non può e non vuole sottrarsi. Nella singolarità di questa esperienza - l’artista che si confronta con se stesso davanti all’errore imprevisto o all’incidente casuale rinegoziando la natura del lavoro - ammiro la sua abilità nel trasformare il lapsus, lo sbaglio, il fallimento in un punto di forza dell’opera d’arte. La storia delle immagini è disseminata di queste occasioni improvvise e fortuite arrivate come un dono e trasformate intelligentemente dagli artisti in congegni cognitivi atti a esplorare ciò che pareva di primo acchito impossibile o poco probabile; basti ricordare le esperienze provocatorie dei dadaisti, riprese poi successivamente dall’Arte Concettuale, che trasformarono l’errore in un momento di verifica dei postulati del linguaggio fotografico e video.

Il concetto di Lapsus ha suscitato una bella eco tra gli artisti, sentendosi chiamati a partecipare in prima persona in un processo di conoscenza di quei fenomeni misteriosi e imponderabili sottesi alla creazione dell’arte. I 15 finalisti selezionati da una giuria di esperti tra centinaia di progetti - giuria composta da Martin Breindl, Elena Ceratti e Silvio Wolf - ci mostrano quale strumento magnifico può divenire il lapsus se questo accresce la capacità delle immagini di palesarci la bellezza dell’effemiro, dell’incerto, dell’inverosimilmente possibile.

Dall’altra parte, il concorso è stata anche l’occasione per riflettere sui significati e sul valore da attribuire al concetto di “errore fotografico” in un momento storico come quello attuale in cui i dispositivi elettronici ci consentono di modificare a piacimento le immagini creando virtualmente l’errore (soprattutto grazie a programmi come Photoshop), svuotando così di senso artistico l’esperienza dell’imprevedibile o il cambiamento dei presupposti iniziali dell’opera. L’errore accidentale ha una sua aura tutta speciale, impossibile da ricreare digitalmente, che la fotografia e il video portano alle estreme conseguenze in relazione alla meccanica e alla processualità del medium. Il resto sono solo immagini ben confezionate, patinate, distanti dai destini impensabili delle cose.

Dei 15 progetti finalisti 10 sono fotografici e 5 video, offrendo uno spaccato rappresentativo del tema. Quest’anno le presenze internazionali sono aumentate e provengono anche da continenti culturalmente sempre più presenti sulla scena artistica mondiale.
Alcuni artisti hanno lavorato sul lapsus nella sua accezione di errore tecnologico, spesso   incorso accidentalmente durante la realizzazione dell’opera e all’insaputa dello stesso artista. Nella fase di sviluppo l’errore ha fatto emergere una diversa sostanza della realtà portando all’attenzione elementi meno visibili o percepibili, ma di grande intensità. È il caso delle opere di Shira Liberty, William Miller, Ilona Stanska, Giulia Valenti, Karina Zen. Per altri, invece, è stato il momento di trasferimento da un dispositivo ad un altro a rivelare la bellezza e l’unicità del difetto quando si modifica la natura dell’immagine, come è accaduto nei lavori sul paesaggio di Victoria Ahrens e sulla memoria familiare di Emilio Vavarella. Nelle immagini di Cornelia Mittendorfer la voluta ricerca dell’errore fotografico è motivo di riflessione sui limiti della visione e sulla possibilità di estenderne i confini, come avviene anche per Michaela Talia Limberis che fotografa le luminescenze del sole.

Il lapsus può avere anche una natura più psicologica e interiore, imprevedibile e rivelatrice, come emerge dalla relazione con l’altro nel video di Nathalie Dallies, dalla dimensione inconscia dell’Io nell’installazione di Roberto Dapoto, dall’autoritratto quale forma d’indagine negli autoscatti di Elisabetta Roan o nella ripresentazione di brani di un cinema clandestino, danneggiato dal tempo e dalla sua stessa cultura di appartenenza nelle immagini foundfootage di Gloria Oyarzabal. Infine, nelle opere video di Peter Bill e di Cher Brown l’errore può essere trasformato in una performance atta a costruire l’opera tramite la stratificazione di gesti casuali, ripetizioni, cancellature, détournement.

Marinella Paderni
Maggio 2013