Pulsioni d'archivio
di Marinella Paderni, maggio 2012


Quando Celeste Network mi parlò dell’idea d’istituire un premio dedicato alla fotografia invitandomi a curare la prima edizione, fu naturale individuare come tema dominante del concorso il mal d’archivio della nostra epoca e l’interesse della fotografia contemporanea per le tematiche della storia e per la costruzione della memoria collettiva. La scelta di connotare il premio con un tema ragionando attorno ad un linguaggio specifico potenzia le caratteristiche del concorso, rispetto ad altri, perché si pone al contempo come momento d’indagine della scena artistica attuale e come riflessione sulle nuove possibilità espressive della fotografia contemporanea.

Si sa che l’industria della memoria è a suo modo smemorata; la memoria collettiva odierna è sempre più istantanea, di breve durata, che fatica persino a ricordare il presente appena trascorso. Reduci dalla caduta delle utopie e delle Grandi Narrazioni, immersi in quel presente esteso e immemore che è la telepresenza, viviamo questa nuova condizione senza tempo inventando paradossalmente tecnologie che consentono di “stoccare” i ricordi, di costruire delle reti di memoria dinamica, di eternizzare e di archiviare ogni frammento di vissuto trasformando tutto questo materiale umano in forme inedite di narrazione. Storie aperte, in divenire, fatte per non giungere ad una storicizzazione definitiva. L’arte reagisce a questa inedita fenomenologia attivando delle pratiche di contro-memoria e ideando nuovi dispositivi di narrazione tramite l’esplorazione degli archivi e dei loro potenziali.

Gli archivi sono diventati dei readymade del tempo: nei documenti d’archivio noi scorgiamo la traccia della relazione tra tempo e storia, tra realtà e rappresentazione, tra evento e il suo avvenire. Nel catturare quella scintilla del tempo che sarà poi depositata nell’immagine, la fotografia, e insieme a lei il video, non solo eternizza il passato in un presente sospeso ma lascia intravedere  il futuro.

Questa riflessione sulla natura attiva del tempo è ciò che rende tanto attuale oggi la fotografia e il video. Gli artisti che indagano l’archivio e la produzione della memoria collettiva s’interrogano su cosa le immagini fotografiche e filmiche ricordano o dimenticano, e per chi o per quale scopo. In questo modo ripensano la loro autorità come tecnologia della memoria e meditano sull’autorialità delle immagini in una stagione in cui le nuove tecnologie ne destabilizzano il significato storico avuto sino ad oggi.

I progetti che hanno aderito al concorso sono stati 370, dimostrando quanto oggi sia urgente e pregnante il fenomeno del mal d’archivio nella nostra cultura. I 10 finalisti, selezionati dai membri della giuria Giovanna Calvenzi, Daniele De Luigi e Gorge Tatge, rappresentano tutti insieme uno spaccato dei diversi filoni di ricerca sul tema e delle forme che la fotografia e il video possono adottare quando si confrontano con altri linguaggi, come quello così importante per il nostro tempo dei nuovi media.

Un fenomeno interessante emerso da questa selezione è vedere le strette interrelazioni che coesistono oggi tra immagine immobile (la fotografia) e immagine in movimento (il video, il film), facendo cadere definitivamente il limite di demarcazione territoriale dei due linguaggi. Dei 10 progetti finalisti, solo 3 sono progetti fotografici (Claudio Gobbi, Marta Primavera, Greg Sand); altri 6 sono video (Patrizia Bonardi, Dave Farnham, Emily Martinez, Kavit Mody, Caterina Pecchioli, Enrique Ramirez), mentre 1 è dedicato al dispositivo obsoleto del fotoromanzo reiventato ibridando diversi linguaggi tra loro (il collettivo Fotoromanzo italiano).

Walter Benjamin ha scritto che l’indice storico contenuto nelle immagini del passato mostra che esse giungeranno alla leggibilità solo in un determinato momento della loro storia. Nelle opere di Kavit Mody, Marta Primavera e Caterina Pecchioli questo passato è “guardato con occhi nuovi”, ripensato in un orizzonte temporale dinamico e aperto sull’oggi, rivelando finalmente la sua ombra nascosta e il carattere di diversa intelligibilità degli eventi in un processo più ampio di costruzione della memoria.
Specialmente in Mody e Pecchioli la narrazione della storia – le tragiche esplosioni nucleari su Hiroshima e Nagasaki per Modit, la figura popolare di un personaggio “diverso” nel ricordo dei suoi concittadini per Pecchioli – non è lasciata solo all’immagine ma è sostenuta principalmente dalla parola e dalle voci narranti di chi rielabora gli eventi grazie alla pratica del ricordo. Per Primavera, invece, è l’eredità visiva storico-culturale a essere indagata interrogandosi su come le immagini del passato possono incidere sulla creazione del futuro.

Essere contemporanei non solo del nostro secolo e dell’ “ora”, ma anche delle sue figure nei testi e nei documenti del passato, contraddistingue la ricerca di Fotoromanzo Italiano e di Claudio Gobbi. La storia di un territorio e di una nazione, l’antropologia culturale del paesaggio, la riflessione politica sullo stato dell’oggi e sulla natura della fotografia in genere s’intrecciano qui in forme di contro-narrazione della realtà che medita sul presente riesplorando le rovine della storia.

Il carattere conflittuale del presente, situato tra il “non ancora” del futuro e il “non più” del passato, è sublimato nei lavori di Enrique Ramirez, Greg Sand e Dave Farnham. Lo spunto di partenza per loro è la memoria autobiografica, il vissuto personale, che in Ramirez s’intreccia inesorabilmente con la storia politica non lontana del suo paese (il Cile) e con la rimozione collettiva, mentre in Sand  diventa il luogo di esplorazione e di verifica dell’identità nel tempo attraverso il genere del ritratto fotografico. Per Farnham, poi, la presenza della memoria collettiva è traslata nello sport e nella sua tele-visione: nella nostra società lo sport rappresenta un momento catartico collettivo di espressione delle pulsioni sociali, significativo per comprendere le dinamiche relazionali tra gli individui e la loro identità storica.

Anche nell’opera video di Patrizia Bonardi la memoria individuale è fulcro di un’esperienza di sé attraverso il tempo, ma la sua ricerca di un’immersione/fusione con la terra denota l’esigenza attuale di trovare nella memoria della natura un avvicinamento all’umano e un allontanamento dall’artificiale. Emily Martinez riflette invece sul versante opposto, sul carattere postumano del nostro tempo e sui procedimenti di costruzione della memoria dei networked media. Nel suo collage digitale d’immagini eteroclite l’artista s’interroga sulla percezione e sulla narrazione della storia, sull’incarnazione della memoria collettiva da parte delle nuove tecnologie, sulla nostra elaborazione cognitiva e affettiva.




beyondmemory
di Daniele De Luigi, maggio 2012


Il tema della memoria è profondamente e inseparabilmente connesso alla natura concettuale della fotografia, da quando ancora se ne rincorreva l'invenzione. I punti di vista e le sfumature di senso attraverso cui esso può essere declinato sono molteplici, ma in occasione di questo premio indetto da Celeste Network la curatrice Marinella Paderni ha voluto sceglierne uno in particolare, di grande stimolo e attualità per gli artisti di oggi più attenti alle tendenze internazionali: il ruolo svolto dall'immagine video-fotografica nella percezione della storia e della memoria collettiva. Un argomento, questo, che racchiude anche una duplicità connaturata alla fotografia stessa, perché essa è sia strumento per continuare a osservare la realtà e produrre immagini e memoria, sia immagine-oggetto che la memoria la preserva e rigenera. Nel punto di incontro di questo doppio ruolo della fotografia, mi pare, si colloca l'aspetto centrale di "beyondmemory".

Si tratta di un tema di grande interesse e complessità dunque, che si è dimostrato capace di aprirsi a una notevole varietà di tecniche, di modalità espressive ma soprattutto di pratiche artistiche, dalle più tradizionali a quelle più innovative. Il lavoro della giuria, composta da Giovanna Calvenzi, da George Tatge e da me, per giungere alla selezione dei finalisti tra 370 progetti presentati da tutto il mondo è stato impegnativo e difficile, ma anche entusiasmante. Oltre naturalmente all'intrinseco valore artistico delle opere e alla loro originalità, è stata oggetto di valutazione e di confronto anche l'aderenza al tema proposto: proprio perché la memoria appare in qualche modo sempre legata alla fotografia, è stato importante mettere a fuoco il particolare significato del rapporto tra memoria collettiva e immagine in questo contesto. Questo ci ha spinti a privilegiare opere in cui gli artisti avessero saputo proporre riflessioni sulla storia comune di una collettività, fosse essa una città, un popolo o l'umanità intera, in diversi casi appropriandosi di materiale iconografico preesistente. L'uso di immagini d'archivio ha riguardato dalle fotografie familiari a quelle  storiche, fino alle immagini prelevate dalla Rete, e il processo di risignificazione è stato messo in atto con un'interessante ventaglio di dispositivi formali: dalla ripresentazione alla manipolazione, dal montaggio video a quello digitale, all'accostamento a nuove fotografie o a tracce sonore. Nelle opere in cui a prendere il sopravvento era invece la memoria privata, si è preferito non favorire progetti pur interessanti ma troppo ripiegati in una dimensione intimista, a favore di altri in cui esperienze personali riecheggiassero abitudini o rituali condivisi, ricollegandosi al tema da un punto di vista che potesse comunque ampliarlo e arricchirlo.
La shortlist emersa dalle scelte della giuria, che include opere fotografiche e video da Nord e Sudamerica, Europa e Asia, ci è parso che in conclusione rendesse conto, nella misura in cui ciò era possibile, di questo intreccio di ragioni, di sensibilità e di sguardi attraverso cui il tema proposto avrebbe potuto essere interpretato. Al tempo stesso, ci è sembrato anche che costituisse un'efficace dimostrazione della vitalità della fotografia e del video, e delle risorse che questi mezzi possono vantare per schiudere ancora nuove prospettive sul nostro mondo e sulla nostra storia.

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