Il fatto che attraverso le parole si comunichi il pensiero, ciò che da forma ad ogni tipo di attività o espressione umana non sembra essere così particolarmente rilevante, ciò che sarebbe rilevante invece sarebbe il “fare”. Questo fare evidentemente non abituato a confrontarsi con le forme più elementari di pensiero critico, in mancanza di un pensiero programmatico ha fatto si che tutto rimanesse in mano alla libera iniziativa dei privati ed è forse proprio per questo che gli interessi italiani si sono concentrati nelle regioni del Nord, dove prevale da sempre un atteggiamento imprenditoriale. L'omologazione dei desideri, la mutazione antropologica dell'uomo, la pervasività del potere che si insedia ovunque rendendosi invisibile, impossibile da individuare e affrontare, hanno al fondo come motivazioni una scarsa o cattiva informazione, se non proprio una deformazione delle notizie, che altera la verità e condiziona poi l'opinione pubblica nelle sue scelte. Il solo dubbio che ogni sforzo sia inutile, che esprimere la propria opinione sia vano, toglie forza agli onesti. Annega strozza e seppellisce il diritto che fonda le regole del vivere civile, ma anche il diritto che lo trascende: il diritto alla felicità. Il senso del “tutto è inutile” toglie speranza nel futuro e ormai sono sempre di più coloro che abbandonano la propria terra per andare a vivere in un'altro paese lontano da questa vergogna. Siamo nell'era del “furto generale” continuo e crescente, giustificato dai professionisti, i nuovi intellettuali e astuti al servizio del potere. In tutti i campi, furti di chi sta al potere e di chi dal potere è escluso ma al potere aspira. Era in cui i moralisti sono disprezzati dagli uomini del fare, nel rassegnato silenzio delle minoranze afasiche ed inerti. Tutti rovesciati in un era ferocemente antiumana, siamo le testimonianze di un'umanità offesa e umiliata nella vita quotidiana in un contesto che ci vede transitare perduti senza intravedere l'uscita, nella peggiore crisi economica, etica, e di identità, l'assuefazione al peggio senza che nessuno si scandalizzi è un fenomeno di massa, il meglio del peggio trionfa ovunque senza distinzioni sociali, perchè se il peggio nella sua lunga storia è sempre il peggio, non è così la sua percezione sociale. Se il peggio non è più un 'eccezione, ma la norma, allora questa norma assume l'immagine rovesciata che aveva prima il peggio, percui fare le cose bene è sbagliato, occorre farle brutte, stupide banali per avere successo ed essere così confermati. La socializzazione del peggio è la nostra oscura contemporaneità. Le cronache della corruzione dilagante sono ripetitive e di basso livello. Ma invece che discutere di questi problemi decisivi, invece che tradurre in politica queste scelte per la sopravvivenza, ecco che ci perdiamo negli scontri da voyeur, rumorosi e vani, sui pettegolezzi, sui gay, sui trans. Chi se ne duole passa per un moralista ipocrita, ma è solo uno che ha conservato un minimo di serietà, di decenza. Per questo bisogna rifiutare in blocco, rifiutare tutto, scegliendo di restare vivi, di essere al mondo, vedere lavorare, capire, essere partigiani. Viviamo tempi di crisi, non tanto economica ma dell'uomo, cosi è necessario rivalutare l'arte come strumento per veicolare stili di vita sostenibili, raccontare oggi quello che le telecamere non riprendono, quello che i giornali non scrivono, quello che le radio non trasmettono, quello che si desidera non venga detto.
Siamo ora in un periodo di svendita, ci si mostra ma non si esprime, non c’è spazio per la poesia, l’arte oggi vive di tempi brevi, che bruciano rapidamente schemi e formule, tutta l'arte s'è fatta concettuale e non sa più riconoscere dov'è la matrice dei propri concetti, un'estetica nichilista e passiva che ricorre al concetto e al packaging per giustificare la propria umiliazione e trasformare in prezzo, in valore, in argomento di discussione e di accettazione, il potere dell'immagine nella nostra cultura costringe gli artisti a vestire secondo un modello fruitivo pubblicitario, la pubblicità oggi è molto più di una tecnica di vendita, è un meccanismo per la costruzione di valori, stili di vita ed esperienze che il target interiorizza. L'idea media complessiva che ne esce dell'italia è di un paese vecchio ed autoreferenziale si producono vecchi e inutili eventi, emerge uno stato di insoddisfazione: troppi artisti e poche occasioni, molti prodotti timidi e comunque non all'altezza degli standard internazionali, provincialismo ed accademismo, imitazioni di modelli importati, bisogna non importare ma riscoprire. La critica per noi artisti implica il trovare modalità di fuga dall'intera cornice ufficiale dell'arte, sviluppando forme artistiche capaci di evadere dal mercato artistico e dalle professioni ed istituzioni che le legittimano perchè la cultura è di tutti, perchè parliamo d'arte ma la facciamo comprendere a tutti. Purtroppo attualmente l'industria culturale non punta sul prodotto ma sul nome.
Siamo partigiani, viviamo, sentiamo nelle coscienze della nostra”parte”già pulsare l'attività della “città” futura che la nostra parte sta costruendo. Se una crisi è una cosa brutta, una crisi sprecata è una cosa bruttissima. I periodi di debolezza economica sono infatti utilissimi per adeguare i prodotti, i processi e soprattutto le modalità operative. Per migliorare, il proprio approccio alla produzione. Esiste un percorso per contribuire alla creazione di un ipotetico bene comune che significhi ferma reazione allo squallore che tutto assuefa, occorre parlare di arte e di cultura come fenomeni sociali, urbani, economici, non come elementi impermeabili alla vita che fluisce loro attorno. Troppo spesso artisti delle ultime generazioni, influenzati da questo clima del “fare”, si disinteressano completamente della dimensione critica del loro lavoro, vittime di questa bizzarra stortura secondo cui la buona arte si spiega da sola quando invece, chissà mai per quale motivo, non accade alla buona musica, alla buona letteratura, al buon cinema, alla buona fisica, o alla buona filosofia. Basta coi fatti, passiamo alle parole a patto di sceglierle con cura, di saperle usare, e di articolarle sulla base di un pensiero. Un mondo senza fallimenti è impossibile, ma un mondo di soli fallimenti è invivibile. Compito degli artisti è intuire i cambiamenti che avvengono all'interno della propria generazione e creare delle figure che li esplicitino come a rifare con la lentezza della mano quello che la tecnologia informazionale ha prodotto con grande velocità, lavorando insomma, con un tempo lento, a una sorta di riappropriazione. La lentezza serve a far funzionare il pensiero mentre la velocità nella ricezione è la via della passività. I media sono diventati essi stessi messaggi, sintomi della mutazione del nostro modo di sentire e pensare.
Crediamo che vivere voglia dire essere partigiani, l'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita, ogni cosa che accade non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera. L'artista deve avere la capacità di fondare la necessità nuova dell'arte della contemporaneità (che altro non è che la vita oggi), che non risieda più in pretese d'utilità e di decoro, ma nell'intensità, nella rivelazione, nel dubbio, nell'ustione della verità.
L'arte contemporanea da troppo tempo ha abdicato al ruolo di occuparsi di cultura, la mancanza di una vera urgenza artistica finisce per privilegiare solo le relazioni, dovremmo porci la domanda chiara se quello che stiamo facendo ha un senso oppure no, se stiamo aiutando un territorio a crescere, i giovani a confrontarsi, le aziende ad aprirsi, se stiamo innescando delle dinamiche sociali e se non stiamo semplicemente bevendoci aperitivi. Si va dal turismo culturale di alcuni artisti di oggi, che senza la spinta di una necessità profonda girovagano alla ricerca di qualche trovata su cui basare il loro lavoro, all'idea evoluta di tanti altri che, sostenuta da qualche citazione modernista, offre come prodotto artistico un design alla moda senza contenuto. I curatori facilitano la promozione di giovani artisti simili tra loro in tutta fretta allo scopo di essere promossi scopritori di un nuovo movimento artistico senza la necessaria selezione basata sul confronto. Le gallerie che fanno parte dei comitati delle fiere decidono quali gallerie possono star dentro alla stessa fiera (chissà in base a quali regole forse legate al mutamento del clima o al riscaldamento globale, e chissà come e perchè nominati depositari) decidono anche quali artisti queste gallerie debbano o non debbano esporre. Alcuni artisti quindi – vuoi perchè non piacciono ai signori dei comitati d'affari, vuoi perchè appartengono a gruppi o consorterie diverse dalle loro- non possono esporre nelle fiere più note e più importanti. Dunque a questi artisti viene loro impedito di esistere. Proprio l'arte, infatti, quasi senza accorgersene si è lasciata coinvolgere dal consumismo e dalla bulimia del tardo capitalismo, rinunciando al ruolo fondamentale di analisi critica del proprio tempo.
Per le celebrazioni vengono spesi 5 milioni di euro che finiscono in eventi e cene inutili, senza capacità di promozione, di riqualificazione di un’immagine o di sviluppo di business. Senza sfiorare l’Italia contemporanea, Amministrazioni comunali organizzano in luoghi pubblici, feste private e cene, trasformando padiglioni d’arte contemporanea, ville e palazzi reali in veri e propri “salotti” privati con tanto di invito ad personam, cibi e vini di classe, il tutto finanziato dai soldi pubblici, di un pubblico che non arriva a fine mese, e a sua insaputa paga la cena ai nobili, e non è stato nemmeno invitato.
I Partigiani sono per l’arte come invenzione di liguaggi, l’arte per tutte le persone, l’arte in funzione della cultura quindi l’arte come linguaggio che veicola cultura per le persone, invece che l’arte come prodotto per il commercio.
In questi giorni si parla da per tutto soltanto di gallerie contemporanee ed artisti “attenti alle nuove tendenze dell'arte contemporanea internazionale”, questa è la frase standard, motivo di vanto di espositori, i quali si assicurano attraverso questo “spot” un collezionismo anch’esso “attento alle nuove tendenze dell'arte contemporanea internazionale”.
Se però si leggesse tra le righe si arriverebbe ad una conclusione che fa semplicemente inorridire:
l’arte contemporanea è quella che va di moda ed io gallerista decido quale sia, per far si che i miei fidati collezionisti, continuino ad acquistare un prodotto al quale io li ho abituati.
Nella maggior parte dei casi la galleria privata quindi vista come un supermercato di prodotti alla moda e griffati, destinati soltanto ad uno scopo, il commercio.
Che l’obbiettivo primario dell’artista non sia quello del commercio della propria opera è quasi sempre chiaro, infatti non è questa la figura che ci indispone, e contrariamente a quanto si possa pensare non è neanche la figura professionale del gallerista quella che si vuole criticare , essi svolgono il proprio lavoro con spiccato senso degli affari, dando un opportunità ad artisti, che come noi devono ripagarsi tutte le spese di produzione dell’opera e dello studio, ne tanto meno il collezionista che per gusti e scelte personali sono liberissimi di acquistare qualunque prodotto essi preferiscano.
Il vero problema secondo noi è il basso uso creativo che si fa dell’arte.
Quando in epoche lontane l’arte veniva usata per istruire le persone che entravano in chiesa e trovavano storie raffigurate in affreschi o bassi rilievi, l’arte era commissionata e quindi era merce di scambio, proprio come oggi, ma a differenza di oggigiorno il commercio non era il suo ultimo fine, perché l’opera era creata in funzione del raccontare dell’istruire del far pensare una folla di persone, la massa. L’artista più raffinato era quello che riusciva ad inventare un proprio linguaggio.
Oggi l’opera artistica va in mano ai pochi privati che la chiudono in cassa forte o quando va bene nelle proprie case private dove solo in pochi possono ammirarla.
Perché l’opera è destinata al commercio, esposta con l’unica intenzionalità di venderla dentro veri e propri supermercati, ai pochi privilegiati che possono permettersela.
Esistono artisti inesistenti, perché non soddisfano i gusti personali dei galleristi, o perché potrebbero con i loro lavori, entrare in concorrenza, con i prodotti/lavori degli artisti/professionisti, che spopolano all’interno delle gallerie/negozio.
Per lo stesso motivo esistono gallerie che non esistono, che attraverso le loro scelte artistiche, optano per “strade” di pensiero differenti da quelle che le grandi affermate realtà, stabiliscono.
Un altro concetto secondo noi molto importante è il capitolo: uso della critica. Le riviste tematiche vivono/muoiono in questa sorta di “pensiero positivo” generalizzato per cui ogni articolo di critica ad ogni artista, sia solo ed esclusivamente di critica positiva. Come mai? Forse perché non ci sono interessi di tipo economico a recensire eventi espositivi di gallerie a basso budget? Se fosse così ne deriverebbe il fatto che un qualsiasi evento organizzato in modo da potersi permettere di salariare il critico di turno, sarebbe un evento “positivo”! ne deriva che tutti gli altri artisti o galleristi pur essendo “positivi” o “negativi” non esistano, non sono esistiti, e non esisteranno mai. Ebbene i dati di fatto ci portano a pensare che questo meccanismo sia quello utilizzato oggigiorno e lo disdegnamo perchè tutto questo fa morire l’arte contemporanea e la sua storia futura, senza che nessuno se ne scandalizzi.
Ad esclusione degli articoli critici che parlano di se stessi e della storicizzazione della critica stessa, nelle riviste artistiche, non esistono critici che maltrattano artisti o gallerie. Nel contempo esiste un altro aspetto degradante: a differenza di quanto succede per le riviste di musica o di cinema in cui l’articolo pre-concerto o pre-film è fondamentale, non è mai esistito un articolo critico pre-mostra che storicizza l’artista e le sue scelte, l’artista e la sua vita, l’artista e le sue idee, l’artista e le sue interviste e ancora l’artista e i suoi precedenti lavori.
Inoltre secondo il nostro parere gli artisti che hanno scelto di intraprendere un cammino fatto di esposizioni importanti in luoghi istituzionali, dovrebbero essere per lo meno “esistenti” tanto quanto quelli che hanno scelto la strada del commercio in realtà espositive commerciali. Solitamente non è così. Per questi motivi rifiutiamo in blocco la storia dell’arte contemporanea.
I Partigiani sono i nuovi, sono i postfuturisti, coloro che vogliono far si che l’arte si riappropri dei suoi luoghi, in una società pronta a svendere i propri minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di carriere veloci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l’affiliazione, politica, di clan, familistica; poco fa la differenza. Siamo avvolti da un’ombra immaginaria , una presenza passeggera negli ultimi momenti di una vita già votata all’autodistruzione, che noi scardineremo attraverso le immagini, con la morale, con i dettagli, con la grazia. La bellezza è un elemento molto sottovalutato di questi tempi. È la bellezza a fare la differenza. L’ideale a cui tendiamo è quello in cui l’unico limite è la nostra immaginazione. Perché questo accada gli strumenti devono essere trasparenti. Devono diventare il mezzo invisibile tra noi e i nostri sogni. Pensi qualcosa e la metti in scena senza più stare a preoccuparti del come. La creatività e la curiosità sono gli strumenti ideali per cambiare il mondo. E la costruzione di un futuro migliore passa attraverso la nostra capacità di immaginarlo. Per questo dobbiamo lasciar spazio alla fantasia. I sogni acquistano valore perché diventano una spinta a vivere meglio e anche se gli obiettivi possono sembrare un po’ utopistici, non bisogna mai smettere di perseguirli. Tutte le arti devono essere impegnate in questa ricerca. L’arte è un’attività visionaria. Consente di osservare il mondo da un altro punto di vista. Nutre la fantasia con nuove prospettive. Trasfigura il reale, proiettandolo verso altri orizzonti. Alleggerisce il peso del quotidiano vivere, guardando al di là del presente, verso futuri possibili e non.
L’Italia ha molte potenzialità sul piano artistico, è un paese concorrenziale. Ma c’è molto individualismo in questo campo, gli artisti si rinchiudono spesso nella loro solitudine senza rendersi conto che li penalizza. Noi Partigiani vogliamo imparare ad aprirci a fare network. La nostra è la generazione ZERO in tempo di bilanci. Dall’inesistente anno zero sono trascorsi dieci anni, una decade calcolata male, ma comunque una decade. Cosa racconteremo ai figli che non avremo, di questi cazzo di anni zero? Il disgusto che abbiamo provato sapendo di parlare la stessa lingua (più o meno) di una nazione guasta?
Offrire uno spettacolo così basso è esercizio amorale di cinismo sopraffino. Offrirsi a una mattanza così è il risultato di una demenza incalcolabile, cancerosa.
Riteniamo che il compito di un artista, di una rivista, di un gallerista, possa anche essere quello di far scoprire, o riscoprire, o permettere di approfondire, cose importanti che non si conoscevano o non si ricordavano.
Non è difficile rendersi conto che la nostra civiltà sia tumorale, un’edera velenosa gli si arrampica addosso, con le radici che gli arrivano fino al midollo. L’arte è la medicina, una cura all’angoscia, all’inquietudine e al dolore, da somministrare come una medicina, una droga alla quale essere assuefatti, qualcosa di inevitabile che non procura piacere ma solo temporaneo sollievo.
Il tempo della responsabilità ci alita sul collo.
Qualcosa che sta fra la frivolezza, la bizzarria e l’ironia è una specie di certificato di garanzia del banale. La parola d’ordine “eccentrico”, rappresenta in questa era l’arte e la cultura dominante, figlia di una società dove trionfa la noia. Il fatto che l’assenza di regole da un punto di vista estetico sia alla base della logica ha dato luogo a un’escrescenza del banale. Il concetto Arte/estetica/cultura per tutti , anche se giusto, è stato interpretato male e dagli anni ’60 fino ad oggi, in molti vi hanno fatto ricorso per mimetizzare l’idiozia che i musei pubblici e i beni culturali acquistano con fior di quattrini di un popolo lontanissimo dall’essere target. E sia ben chiaro, non è che in tempi di crisi non si debba investire in arte, ma lo sperpero dei soldi pubblici è cosa stupida, ed è per tutti questi motivi che l’arte nel secolo dello spettacolo generalizzato, ha perso il proprio fruitore, sostituito da un ristrettissimo circolo, una setta inaccessibile di iperspecialisti che parlano un linguaggio incomprensibile ai profani, perché l’arte non rappresenta più nulla ed è lo specchio della società: Queste bande che gestiscono la società ed il sistema dell’arte generano niente di più che il nulla del disinteresse, dell’incomprensione e dell’astio e l’eco lontano della battaglia civile affievolisce tra sterili guaiti e connivenze mai ben dichiarate.
L’unica speranza per dare nuova vita all’arte è dare voce a chi è fuori da questo sistema di associazione mafiosa. Il panorama di tutte le nostre città nessuna esclusa è costellato e costernato da pubblicità orrende, insegne vergognose, l’arredo urbano è inaccettabile, umiliante, dunque perché non affidare agli artisti almeno parte degli arredi urbani e delle superfici in aree dismesse o degradate?
Esiste una pubblica opinione in Italia? Certo che sì, ma disattenta, debole, in gran parte rassegnata. Quale controllo ha sul governo, questa pubblica opinione? Pochissimo. Il potere politico che ha in mano la borsa dei soldi pubblici ha fatto e disfatto a suo piacere, e per accontentare le sue clientele ha permesso malversazioni di ogni genere che hanno dato il via ad una serie di ruberie gigantesche compiute dalla rete politica affaristica che segue il governo e rapina il Paese. Tutto questo si rispecchia in tutti i campi dove girano soldi, compreso quello dell’arte.
La resistenza a questo regime è stata discontinua e debole: il movimento giovanile si riduce a gruppetti in cerca di televisioni che li riprendano, i sindacati che devono pensare alla difesa del lavoro e dei salari, una sinistra esitante, fra opposizione dura e forme di inciucio.
Che cosa resta? Resta una magistratura che, essendo per nostra fortuna ancorata al codice, alle leggi, deve difenderle dalle invadenze e dalle prepotenze della democrazia autoritaria che piace tanto al nostro premier.
Come vivono gli italiani questo scontro impari fra il berlusconismo al potere, un’opposizione politica debole e a volte rassegnata e una magistratura trincerata a difesa delle leggi? Male, in uno stato di disagio. In una sorta di prova generale di dittatura morbida in cui i poteri forti del denaro e della chiesa finiscono sempre per accordarsi pur di salvare sempre il sistema della ricchezza al potere. Una situazione a cavallo tra una dittatura morta e una democrazia insicura, esitante.
Quando i casi di corruzione superano il limite di guardia, come in questi giorni, scatta nella vita politica qualcosa di simile a un riflesso condizionato: si annunciano nuove legi contro la corruzione. Servono a qualche cosa? Bisogna distinguere tra l’effetto punitivo e quello preventivo. Sull’effetto punitivo niente da obbiettare: è giusto punire i corrotti con severità, ma è purtroppo la regola, da noi, che il corrotto continui a fare , anche dopo essere stato scoperto, la vita di sempre, godendo il frutto delle sue malefatte. I processi vanno per le lunghe, i tre gradi di giudizio si protraggono per mesi e anni, poi viene la prescrizione. Il corrotto, intanto, fa la bella vita. Magari diventa ministro, se non lo era già. L’effetto punitivo delle leggi contro la corruzione è dunque giusto in linea di principio, problematico nell’applicazione.
L’effetto preventivo, invece, è praticamente nullo. In teoria, il timore di sanzioni severe dovrebbe essere un deterrente. Ma la corruzione è questione di carattere e di situazione ambientale. Se un individuo non ha una sua moralità, non sarà il timore di una pena più severa a tenerlo sulla retta via. E la Moralità non si improvvisa: non è un dono dello spirito santo. Può diffonderla il buon esempio di chi sta in alto: ma in italia coloro che stanno in alto danno un esempio pessimo. E non da oggi, anche se è innegabile che oggi la situazione sia peggiorata.
Non c’è dubbio che in questa fase ci sia un’ampia disponibilità della Chiesa verso il culto dei Santi e delle reliquie, che in qualche modo può apparire come un passo indietro. Le ragioni sono molte, ma la principale è che esiste oggi una domanda di fisicità, il desiderio da parte dei fedeli di avere un’immagine del meraviglioso e del sacro che si collega a tre elementi: una civiltà dove si preferisce ormai vedere che immaginare, un radicale analfabetismo culturale (nel campo religioso la chiesa cattolica sembra incapace di trasmettere l’idea che esiste una pluralità di fedi) e la sensazione di essere indifesi rispetto ad altre credenze in forte crescita, dall’islam alle sette. Ma la fede cattolica non è l’unica a servirsi di icone di massa. Questa pratica è diffusa in tutte le ideologie più potenti del nostro tempo. Pensiamo ai nazionalismi e ai separatismi come quello leghista in Italia, che si rifanno a mitologie di Patrie costruite su un immaginario fittizio. Non c’è alcun fondamento nel fabbricare l’identità di un paese su basi biologiche o razziali, ma funziona benissimo.
I partigiani con l’arte e il loro lavoro, vogliono diffondere la moralità come base per la costruzione di un paese.
Per i cattolici c’è in più un altro problema: devono anche competere su un mercato del sacro che si è fatto più aggressivo, tra sette e nuove Chiese che nascono incontrollate. Se loro abbandonano degli spazi, qualcun altro li coprirà.
Le religioni iniziarono come un tentativo di capire il mondo –per quali motivi capitano cose buone o cattive e come si può riuscire a far si che accadano più cose positive e meno cose negative. Inizialmente erano un tentativo di indurre le divinità ad essere benevole. In seguito nella tradizione di Abramo (all’origine di Ebraismo, Cristianesimo e Islam) emerse il monoteismo. Col passare del tempo, la religione acquisì una dimensione morale, e incoraggiò gli individui a trattarsi reciprocamente con rispetto e a esercitare l’autocontrollo. Questa componente non faceva originariamente parte della religione, ma con il progredire della tecnologia –l’invenzione dell’agricoltura, della scrittura, e così via- le società divennero più grandi e complesse, e le religioni ebbero un ruolo nel regolare la morale. In altre parole la direzione di fondo della storia ha condotto gli uomini a includere sempre di più altri loro simili nella propria sfera di interesse e preoccupazioni. Oggi la religione si sta quindi globalizzando. È una tendenza in atto. Da questo punto di vista, noi Partigiani pensiamo che Benedetto XVI, con la sua concezione per cui la salvezza è possibile solo nella fede in Cristo, sia un conservatore e lavori in direzione contraria alla corrente della storia.
Certamente, non è il solo: ci sono anche fondamentalisti protestanti ed ebrei e gli integralisti islamici.
Ci sentiamo infine, in dovere di dare umilmente alcune risposte di massima che fungano da linee guida per l’esecutivo, visto che nessuno pare interessato a suggerirle nelle sedi istituzionali preposte. Anche se chi rompe l’immobilismo, in Italia, deve mettere in conto di essere giudicato come un nemico pericoloso.
- SUD: chiedere alla criminalità organizzata di sciogliersi o, nell’eventualità che non accetti, provare a sradicarla.
- GRANDI OPERE: terminare quelle vecchie.
- RITORNO DEL NUCLEARE: se il popolo che votò il referendum non basta proviamo almeno a chiedere a qualche premio Nobel, Rubbia ad esempio, che ci spieghi perché non abbasserà il prezzo dell’energia, perché è costoso, perché non saremo in grado di gestire le scorie, perché arricchirà solo una ristretta fascia di persone, perché non porterà il benessere della Nazione e poniamo al Governo una sola e onesta domanda: perché adesso?
- RONDE E SICUREZZA: perché non proviamo, prima di dar via libera a qualche rambetto o sceriffo di contea, a ridare i 186 milioni di euro che il governo Prodi aveva accantonato per la Polizia e che l’attuale esecutivo ha cancellato accrescendo invece la tassazione sullo stipendio, definendo la diminuizione del fondo per gli straordinari e altre voci a ruota libera fino all’impossibilità di mettere benzina nelle volanti?
- TOLLERANZA ZERO PER LA MOVIDA: perché non proviamo a cancellare tutte le leggi che, figlie del proibizionismo, generano clandestinità e introiti per la criminalità organizzata e proviamo a seguire invece un autentica politica di responsabilità civile supportata da un corpo di leggi che proteggano chi non vuole stare sempre sul divano davanti al televisore e magari abbia la necessità di uscire e farsi una birra senza timore?
- ACCESSO ALLA CULTURA: proviamo Internet a banda larga con la fibra ottica e con un controllo più severo dell’authority sulle tariffe. É più utile e realistico, in prospettiva investire sulla rete in fibra che non su un paio di barrette d’uranio.
- INFORMAZIONE: azzerare il conflitto di interessi, riportare l’Italia tra i paesi liberi nella classifica sulla libertà di stampa, non fare propaganda e assicurare un futuro alla pluralità di opinione.
- IMMIGRATI ED EMIGRANTI: dato che le massicce emigrazioni delle nostre “Menti felici” non vengono assolutamente compensate dai clandestini e dalla povera gente, che immigrante, arriva in Italia, Perché non rendiamo più agevoli leggi che permettano loro di mettersi in regola, riconoscendo tal volta titoli di studio a persone oneste costrette dalla fame a una vita da mendicante o votata alla criminalità? Perché non pensiamo a delle leggi che mettano gli immigrati senza titoli di studio nelle condizioni di poter occupare i posti di lavoro che gli Italiani ormai disdegnano e invece sono alla base dell’economia nostrana, come ad esempio il campo agrario in cui avremmo tanto da imparare.
- COSTUME: smettere di fottere giovane carne calda a vanvera o farlo almeno come ai tempi della prima repubblica, con un po’ più di garbo. In questi giganteschi parchi a tema per il consumo, le città della moda, del turismo, dell’auto, del cibo, bisogna esigere che la vita e l’ambiente vitale siano sottratti al dominio dell’economia, che crescano le attività nelle quali la razionalità economica non sia applicata. L’innovazione non è roba tecnologica. Riguarda i nostri sentimenti, comportamenti, forme di vita.
Manifesto d'arte dei Partigiani
Di Uraken
Chi volesse aderire dovrà comunicarlo con un commento o aggiungendo un concetto. Organizzeremo una grande esposizione.
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