Mostre, Potenza, 02 April 2017
È una scelta vivace nel genere di proposta espressiva e vigorosa nello sviluppo dei contenuti figurativi, quella che ha messo a punto Maria Ditaranto per questa mostra, intitolata “le due lune di Lilith”. Il primo elemento estetico che viene fuori da questi suoi dipinti, più recenti, è l’aver dato corpo a una “soluzione semiotica” (espressa per simboli) che è supplementare e aggiuntiva alla “rappresentazione sinottica” (d’insieme) della figura. Ne è nata una soluzione creativa, energica e affascinante, pregnante e attraente: sia per la scelta delle tinte (bianchi di zinco, di titanio e di bario; giallo ocra; rosso Tiziano; lacca di robbia; nero bitume e blu d’oltremare) e sia per le immagini proposte (figure femminili, volatili e insetti).

Per raggiungere questo risultato, Maria Ditaranto si è lasciata, intenzionalmente, alle spalle la sua ricerca precedente, fatta di ritratti, di nature morte e di scene di genere. Le immagini da lei, ora, create rinviano, nei contenuti e negli argomenti trattati, a qualcosa che va oltre quello che si vede, pur conservando una piena aderenza: sia con l’evidenza della realtà (così come quest’appare) e sia con “la tangibilità delle cose” (che riconduce il tutto alla filosofia dell’archè e alla “natura primigenia” che domina il mondo). Questa scelta estetica ha portato Maria Ditaranto a esprimersi con una “pittura espressiva” sviluppata: per simboli, per concetti, per idee, per pittogrammi, per manifestazioni ideogrammatiche dell’inconscio umano, per forme strutturate della mente e per visioni che superano la soglia della coscienza. E che sono funzionali tutte insieme, nello stesso tempo, a dimostrare la complessità della psiche umana.

All’interno di un processo organico di “comunicazione iconografica” Maria Ditaranto ha sviluppato, per tutto questo, un “sistema illustrativo” (composito ed eterogeneo) nel quale convivono: “significato” e “significante”. Un tipo di esperienza creativa, questa, che è stata già percorsa, negli anni ’80 del secolo scorso, con il passaggio dalla neofigurazione, alla cosiddetta “metapittura segnica” (pure adottata, oggi, da Maria Ditaranto nella maniera in cui inscrive e incornicia "i suoi dipinti dentro il quadro"). Questo particolare “aspetto formale” – adottato dall’artista - ha avuto il suo “incipit creativo” sul finire del Novecento. Esso è stato spiegato da Claudio Collina, in un suo saggio critico dedicato all’artista Antonio Violetta. E consiste nell’esprimere una serie di «aspetti simbolisti “incarnati” da valenze emozionali» e capaci di far «trapelare, dal significato al significante della forma (…) la poetica esistenzialista ed espressionista».

Per raggiungere questi risultati, Maria Ditaranto ha usato il linguaggio classico della pittura. Innanzitutto rappresentando, in modo figurativo, nei suoi dipinti: corpi, visi, e anatomie umane. Ma non si è limitata solo a questo. Ha adottato un doppio “codice espressivo”. Innanzitutto quello tradizionale dei segni, che sono interpretati e decifrati - in maniera cognitiva - dalla “semiotica visiva” della storia dell’arte contemporanea. In ragione di ciò ha prodotto (tanto nel minuto, cioè nel piccolo e nell’essenziale, quanto nel dettaglio, ovvero nello specifico e nel particolare) tratti, segni e “graffiature minimaliste” che derivano dalla maniera di utilizzare il pennello sulla tela, sulla carta, o sulla tavola lignea: da lei, di volta in volta, utilizzate per sviluppare il dipinto. Un altro elemento distintivo della pittura, più recente, di Maria Ditaranto, è la sua maniera di “lasciare” - lungo il piano prospettico dell’opera - un tratto di grafite, o un’orma di carboncino, o un’increspatura di segno: generato, in quest’ultimo caso, per estrazione del colore, dal corpo stesso della “massa cromatica” (ottenendo, in questa maniera, delle “tracce ornate” minimaliste).

Il secondo “codice espressivo” utilizzato da Maria Ditaranto è quello dei simboli. Usando le parole di Luigi Blasucci, possiamo affermare che alcuni di questi “timbri concettuali”- elaborati dalla pittrice – mostrano «una compresenza di realtà e astrazione, e di rifondazione del pensiero nei sensi». In alcuni casi si tratta di “marchi visivi” sviluppati secondo un “codice espressivo” di tipo zoomorfo: libellule, falene, farfalle, corvi e uccelli di vario genere. E in altri casi si tratta, invece, di forme e figure che è come se rispondessero a un “codice essoterico” (palese e palpabile) basato su più “fattori formali”.

E tra questi “fattori formali” troviamo, innanzitutto, l’incanto interiore della spiritualità, quella che appartiene all’artista. E che lei trasmette, a sua volta, attraverso i suoi quadri. C’è poi la potenza della forza meditativa, quella che nasce dalla mente di chi ha concepito e di chi ha composto l’opera: per affidarla - in un ultimo passaggio ideale - a chi la osserva e a chi la fruisce. E troviamo, infine, l’incanto e lo stupore esercitati sia dal disegno e sia dalla materia cromatica, di cui si compone la sostanza stessa del dipinto. La somma di tutte queste “varianti estetiche” determina, di fatto, la malia e il senso di “affascino magico” del tema rappresentato, di volta in volta, dall’artista.

Nell’utilizzo dei simboli zoomorfi, Maria Ditaranto costruisce delle allegorie e delle metafore visive riprese in parte, o del tutto, da un “immaginario medievale” che appartiene, perlopiù, ai bestiari inglesi e francesi, del XIII e del XIV secolo. In quest’operazione di recupero semantico - eseguito in senso visuale – la pittrice ha trovato il necessario equilibrio compositivo per affermare la sua totale adesione al moderno e al contemporaneo, sull’onda lunga di alcuni movimenti pittorici – figurativi - degli anni ’80 del Novecento. Vale a dire la pittura colta, citazionista, anacronista e ipermanierista: di cui lei non si può ritenere epigona ma rivisitatrice in senso teorico e speculativo.

Nell’uso, invece, dei “segni essoterici” (aperti ai profani) l’artista allestisce delle “espressioni retoriche” (altrimenti definite “tropi”) che conducono al nucleo più profondo: sia della realtà delle cose, sia del vissuto umano e sia degli “ambienti antropici” che ospitano queste stesse vite. Così facendo Maria Ditaranto ha dato un’interpretazione fantastica e immaginifica sia ai comportamenti collettivi umani e sia ai contegni individuali. Con questo genere d’impianto estetico e stilistico, Maria Ditaranto ha dato, inoltre, espressione: alle radici fantastiche del Creato (miti e leggende) e all’immaginario, ieratico e profano, della storia dell’arte (imago mundi e axis mundi). E da lì è ripartita per creare delle figure che vanno oltre la soglia del fisico e del contingente sconfinando, talvolta, nel metempirico, e in altri casi, addirittura, nel sacro e nel metafisico. Ha costruito, cioè, delle immagini che si fanno messaggio sociale e sostanza spirituale. Ed è così che si manifestano, attraverso la sua pittura: sogni, speranze, utopie e “chimere fantastiche” capaci di offrire - nello spettatore - fiducia in un domani migliore, che vada oltre le violenze fisiche della persona e oltre le brutalità della natura. Situazioni, queste, che si esprimono, a loro volta, nel dolore: mostrato da Maria Ditaranto in una forma paradigmatica e simbolica, velata ma travolgente.

Nell’effettuare questa “scelta concettuale” Maria Ditaranto ha raggiunto l’essenza degli archetipi universali. L’ha fatto con l’uso d’immagini che descrivono, ad esempio, il delicato equilibrio che esiste - nella vita di tutti i giorni - tra il singolo individuo e la natura, Dio e la società intera. L’ha fatto con la raffigurazione di busti e tronchi di donna, di volti umani e di mani di persona, che a volte sono lasciate libere di scorrere lungo il corpo e altre volte, invece, s’intrecciano tra loro. In questa maniera Maria Ditaranto è riuscita a mostrarci (attraverso l’uso espressivo del colore e mediante l’utilizzo dell’ornato pittorico) alcune delle tante forme concettuali di cui si compone l’esistenzialismo filosofico moderno, la cosiddetta “filosofia delle nuvole”.

Questa definizione - emotiva e appassionata – della “filosofia delle nuvole” dice dello stato d’animo di ogni persona: che nasce, che vive, che sorride, che soffre e che rinasce alla gioia, come l’araba Fenice immersa in una miriade di nuvole. Nei suoi quadri Maria Ditaranto ci offre tutte queste “interpretazioni speculative”. E ci mette nella condizione d’indagare sull’effetto di “casualità delle cose”. Insomma, con immagini che arrivano diritte al cuore e alla mente, quest’artista, ci mette nello stato d'animo, non solo d’impressionarci, di commuoverci e di emozionarci, ma anche di ragionare e di pensare sull’effetto di “casualità delle cose”. Nell’effettuare questa scelta di campo – tanto intellettuale, quanto creativa - Maria Ditaranto, mostra, di fatto, la sua modernità estetica, che la pone in sintonia ideale, con i contenuti filosofici espressi - ad esempio - da: Søren Kierkegaard, Martin Heidegger, Karl Jaspers, Jean Paul Sartre, Albert Camus e Herbert Marcuse, protagonisti, tutti questi, del pensiero esistenzialista contemporaneo.

E proprio l’esistenzialismo filosofico rappresenta la maggiore componente intellettuale, che è presente nelle ultime opere di Maria Ditaranto: laddove la pittrice ha sviluppato una sua capacità - creativa e immaginifica - di mettere in relazione il “nesso di causalità” (e quindi i concetti, sia di origine dell’essere umano, e sia di fato e predestinazione) con gli “archetipi universali” che sono stati indagati - nel più recente passato - da Carl Gustav Jung, Sigmund Freud ed Erich Neumann. Tra questi “archetipi universali” (che sono stati analizzati da questi antropologi e psicoanalisti moderni) ci sono, senz’altro, nei dipinti di Maria Ditaranto, i simboli: della Grande Madre (la Terra), dei miti della Creazione (Lilith) e della Genesi dell’umanità (Eva). Sono elementi, tutti questi, che ricorrono, in forma subliminale, nei dipinti di quest’artista. E che si esprimono nella forma del grembo, del seno, del ventre, del petto e dell’addome femminile. Si tratta di forme e di figure - “inclusive” e rassicuranti - che rimandano all’idea di un “grande utero materno” che accoglie e che non respinge, come potrebbe essere nel caso, invece, di un’enorme camera magmatica, nelle viscere della terra. Sono forme e figure che dicono, altresì, della donna e del suo essere madre. E non soltanto. Dicono di una donna che esprime con i suoi gesti - come affermava Carl Gustav Jung - «la magica autorità del femminile, la saggezza e l’elevatezza spirituale, che trascendono i limiti dell’intelletto».

“Le due lune di Lilith” rappresentate, idealmente, da Maria Ditaranto coincidono, di fatto, con i due poli antagonisti della “visione alchemica” della realtà, dove bene e male sono considerate delle illusioni mentali: come, pure, sosteneva Albert Einstein. E questi dipinti di Maria Ditaranto dicono, altresì, che la realtà possiede numerose facce: l’incanto, la grazia, l’armonia, la menzogna, il disinganno e la verità. E come nel “mito perduto di Lilith” essa si mostra: sia nella bellezza dei viventi e sia nell’appariscenza delle ombre.

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