Gli uomini e le donne del circo costituiscono una metafora dell’umanità, la più eterogenea, che comprende nella sua varietà anche casi estremi e ben diversificati rispetto allo stereotipo imposto dalla società dei consumi. Nella visione cui Mauro Moriconi dà concretezza nel progetto “Le Cirque” emerge immediata questa condizione: la complessità dell’essere umano, la sua legittimità a definire autonomamente il metro della propria posizione nel mondo, e soprattutto la sua capacità di trovare strumenti e strategie di sopravvivenza (ma sarebbe meglio dire ‘esistenza’) in qualsiasi scenario, sotto le regole di ogni mutamento. Sulla base di questa valutazione assume un significato preciso la rappresentazione di artisti, anziché di comuni cittadini. Fatte le debite sottrazioni, e recise all’origine tutte le citazioni, dotte e meno colte, di atmosfere oleografiche e decadenti che si affollano attorno all’universo circense, credo che la predilezione di Moriconi per i soggetti scelti abbia a che fare proprio con questa doppia identità. Sono artisti (e quindi in qualche modo ambigui rispetto alle consuete valutazioni sulla necessità), ma in una declinazione tecnica, e potremmo dire in qualche modo artigianale, del loro talento. Dunque si prestano a raccontare uno stadio interrogativo che comprende sullo stesso piano normalità e eccezionalità. Il clown, il mangiatore di fuoco, il funambolo, la donna cannone e gli altri si trovano, secondo una poetica della rappresentazione molto congeniale a Mauro (e sapientemente praticata nella sua ricerca), sottoposti a una forma letteraria di straniamento che li immerge in una inedita percezione della realtà. Negli scenari di archeologia industriale, decontestualizzati e appena smarriti, gli artisti del circo sembrano pronti a continuare ad agire secondo i propri codici; ma la loro immagine è del tutto nuova nell’alterazione data dal contrasto, ed emerge un profilo eroico, come se fossero tutti dei sopravvissuti, o dei pionieri, in un tempo impossibile da definire. Il futuro, utopico o distopico che sia, è sempre una distorsione rispetto a quanto riconosciamo come presente, e la sua realizzazione coincide con la sua irrevocabile cancellazione. In questo senso “Le Cirque” potrebbe ambientarsi anche nel passato (e non è casuale che le immagini siano così cariche di un senso della storia stratificata tra le rovine dell’operoso ingegno umano): l’obiettivo della dislocazione semantica di personaggi e scenari è, per Mauro, una professione di dubbio, privo di giudizio, sulla condizione umana e sulle sue possibilità. Sulle visioni coagulate in linee e colori sull’alluminio, Moriconi, fedele anche lui alla natura complessa che lo descrive come artista alle prese con linguaggi diversi, compie un ulteriore gesto poetico. La riappropriazione di quell’universo narrativo attraverso il segno e la tecnica dell’incisione, ha il potere di restituire la verticalità dell’arte rispetto all’orizzontalità dell’immedesimazione: è come se l’artista tracciasse un sotto testo in cui enuncia il proprio potere di parlare del mondo, ma conferisce al mondo, e allo spettatore, il dovere del giudizio e dell’azione.
Pietro Gaglianó
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