In un’epoca in cui le opere d’arte sono facilmente riproducibili e in cui si va incontro ad una virtualità sempre maggiore, le tele sono realizzate a mano: le imprecisioni del “fare umano” sono ironicamente in contrasto con le modalità della produzione industriale dove tutto è meccanizzato e perfetto.
Zanoni pone l’accento in modo critico sui meccanismi di produzione del cibo: gran parte dei prodotti che ci paiono naturali invece sono artefatti. Se abbiamo una sensazione di familiarità, questa è solo il risultato del bombardamento visivo, dell’eccesso di informazioni e dell’inquinamento cognitivo che ne deriva (infollution).
Tutto ciò fa sì non solo che i loghi delle aziende siano immediatamente riconoscibili, ma che risultino al contempo gradevoli, accattivanti proprio perché già noti. La loro impostazione geometrica è di conseguenza destrutturata: una volta perduto il valore del segno ciò che rimane è il senso archetipico dell’elemento e il richiamo fortissimo ad un inconscio collettivo. Si potrebbe paradadossalmente affermare che i quadri della serie Techno food esistono già nell’immaginario di ciascuno di noi e li riconosciamo quando li osserviamo per la prima volta tanto questi segni sono onnipresenti.
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