Gustavo Boldrini (Venezia, 2 Settembre 1927 – Salsomaggiore Terme, 2 Giugno 1987) è stato un artista autentico, un talento pittorico sincero e impetuoso, ribelle, originale, insofferente a qualsiasi definizione o imbrigliamento classificativo, testimone e interprete di una temperie storica, culturale e sociale, dalla fine degli anni ’20 alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, in grado di fornirci appieno e in maniera chiara ed esaustiva il ritratto di un’epoca, delle sue luci e delle sue ombre.
Figlio di un ferroviere e nipote del Segretario Generale del Comune di Venezia, Boldrini vive la sua giovinezza in un giro di anni – a cavallo fra due guerre, con le difficoltà ulteriori determinate dalla crisi del ’29 – che sarà estremamente significativo nel determinare la sua visione artistica, il suo mondo poetico e la sua maniera espressiva. Una nascita relativamente agiata, ma che pure, da acuto osservatore quale necessariamente dev’essere qualsiasi artefice, non perderà mai di vista gli umili, i più poveri, i dimenticati; identificandosi in essi, facendo nascere una miriade di raffigurazioni realistico-naturalistiche e simboliche, alla sua maniera, intrise di materia scura, dal contorno nervoso e franto, memori del passaggio dall’aerea, magniloquente, solare prospettiva tiepolesca all’oscuro presente. Nascono così ripetute, come tutti i suoi motivi ispiratori, ripresi per l’intero arco di una vita: “gli ombrellai”, le “Crocefissioni” e i “volti di Cristo”, i “lavoratori” e le due versioni di “Massacro a Hiroshima”. Il pittore si rispecchia in queste figure di ultimi, facendo propri motivi di rivendicazione sociale e di uguaglianza, conservando un’idea di arte come realizzazione gioiosa, svincolata da qualsivoglia costrizione o vincolo. Arte per il piacere di fare e di vivere l’arte, ideale che condurrà con coerenza e fermezza per tutta la vita, non essendo mai capace di vendersi, convinto che la pittura sia innanzitutto un dono, da elargire con generosità.
Fin da giovanissimo interessato da una innata vocazione artistica compirà le sue prime prove di disegno all’età di otto anni, portando avanti il suo talento in seguito, iscrivendosi all’Istituto d’Arte dapprima e poi all’Accademia di Venezia.
Boldrini sarà allievo di importanti maestri d’Accademia del tempo, quali Felice Carena, Aldo Bergamini, Virgilio Guidi e Bruno Saetti - e soprattutto a questi ultimi tre dovrà l’assegnazione di uno studio nel prestigioso Palazzo Carminati della Fondazione Bevilacqua La Masa, una sorta di consacrazione quale emergente personalità artistica per il tempo - coetaneo e compagno di giovani e promettenti artisti quali Bepi Longo, Giovanni Pontini, Carlo Hollesch, Raoul Schultz, Angelo Caramel, Bruno Colussi, Girolamo De Stefani.
Il giovane Boldrini comincerà presto, dal ’47 a viaggiare: in Francia, Germania, Svizzera, Olanda, Belgio, viaggi che gli porteranno conoscenza e rinnovati stimoli, dall’esperienza degli esempi del Bauhaus e della Brücke, del Blaue Reiter, di Van Gogh e dei Fauves, del gruppo CoBrA, Soutine e Rouault. Attraverserà le Avanguardie per designarsi antesignano di una neofigurazione che esprime innanzitutto la sostanza viva e pura del suo estro irruente, fantasioso, trasfigurativo, del suo segno impetuoso, ossessivo, identificativo, riconoscibilissimo ed unico, che deve il suo essere ai primi astrattismi ma ancor più all’influsso più o meno significativo dell’Action Painting.
Non tarderanno ad arrivare i riconoscimenti, fra cui la borsa di studio del Governo francese, che lo porterà nel ’55 – ’56 di nuovo a Parigi; nel ’55 alla VII Quadriennale di Roma; nel ’56 alla XXVIII Biennale di Venezia.
Alla fine degli anni ’50 il trasferimento a Milano segna un brusco mutare nel suo modo pittorico: le geometrie si fanno più squadrate e nette, decise, la materia si addensa, si raggruma e si scurisce, divenendo carboniosa, emblematicamente rappresentativa del clima della nascente metropoli e dell’oppressione della grande città industrializzata, che soffoca e schiaccia l’uomo.
E’ degli anni ’60 lo sviluppo di un particolare tema ricorrente molto caro all’artista: la “donna di Boldrini” dagli occhi smisurati e attoniti e il fare languido, per metà innocente, per metà ammaliante. Da simbolo ad icona, ad archetipo.
I leitmotiv della sua pittura si possono elencare e riassumere in tratti caratterizzanti che lo accompagneranno, variamente composti e assemblati, dimostrazione del suo rigore formale come dell’irruenza compositiva e immaginativa, per tutta la sua vita e la carriera pittorica, contraddistinguendone la cifra stilistica: le volute della Chiesa della Salute e la riconoscibilissima sembianza squadrata della Chiesa di San Giacomo dell’Orio a Venezia, le forme arcuate dei tulipani d’Olanda, la fisionomia curvilinea delle Citroën parigine, come quella ogivale della cupola del Sacre Coeur, e i riccioli delle gondole. Così mirabilmente racchiusi nei “souvenir” e negli “specchi magici”, di nuova creazione a partire dagli anni ’70, e che testimoniano di una memoria visiva rutilante e anagrammatica, a mo’ di rebus visivo, in grado di trasmettere il senso e l’emozione desunte dall’osservazione di una figura d’artista e di uomo vero e onesto, fedele a se stesso pur nelle fragilità derivate da un carattere romantico ed indefettibilmente idealista, specchio del suo tempo e suo coraggioso portavoce.
28.11.2018 Maria Palladino
La mostra resterà visitabile fino al 20 Dicembre.
Orario di apertura: martedì – sabato, 10,00 – 12,00 e 16,00 - 19,00. Domenica 16,00 – 19,00.
Ingresso libero.
Per informazioni:
www.gustavoboldrini.it archivio.gustavoboldrini@gmail.com
Maria Palladino: 3341695479 audramsa@outlook.it
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