Come un rabdomante in preda a processi subconsci da disegno automatico, i lavori prendono vita e bruciano celeri in movimenti che mi ricordano quasi gli incidentali schizzi casuali di John Cage, o gli esperimenti con i materiali più appiccicosi di Vik Muniz.
Usualmente guardingo e tacitamente protettivo del suo operato, Picchio si é lasciato convincere ad aprire per la prima volta questa sua celata attività all’interazione ritmica esterna; tocca a noi adesso perderci, o trovarci se possibile, nelle macchie lisergiche, i guizzi acidi, gli spruzzi nervosi, o quelli più pacati, e l’archetipo che a volte ritorna. Tutto ha senso alla fine nell’occhio di questo ciclone a tratti sottilmente autobiografico, che passa dall’astrazione alla figurazione accennata. A volte nevrotico, altre meditativo, questo é un flusso comunque sempre veloce e complice della decisione netta anche se contaminata, che parte dallo stomaco e finisce dritto in testa.
Seb Patane.
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