EsSenza - Fernando Monta'
Mostre, Torino, 11 May 2012
Ricerca pittorica di Fernando Monta' - maggio giugno 2012 - mostra personale presso martinArte - Torino - testi critici di Angelo Mistrangelo - Paola Barbarossa - Irene Monta' - progetto grafico e video mariella bogliacino

http://www.youtube.com/watch?v=EemGEroHLsE


IDENTITA' RIVELATA

Ci son sempre altri crepuscoli, altra gloria;
io provo il logorarsi dello specchio
che non si placa in una sola immagine.
Jorge Luis Borges

L'immagine è narrazione, documento, testimonianza dell' itinerario di un artista, del fluire incisivo del segno sulle superfici di fogli di carta e tele e tavole, della vibrazione del colore alla luce e dalla luce emerge l'essenza di un'intera esistenza.
In tale dimensione si colloca la ricerca di Fernando Montà, che attraverso quarant'anni di un impegno intenso e costruttivo ha elaborato un proprio e indiscutibile discorso capace di unire la formazione tecnica alla propria identità, al valore degli ideali sociali e culturali, all'intensità di una visione relativa all'ambiente e alla natura.
Una visione che si snoda lungo un percorso mai estenuato e concluso, ma sempre aperto a nuove soluzioni, a simboli, a segnali di un dire legato a una precisa volontà di comunicare, di suggerire una determinante attenzione per i sentimenti umani e per quanto non viene mai decisamente esplicitato, ma che appartiene alla profondità del pensiero e della propria storia.
Vi è nelle opere di Montà una misura espressiva che gli consente di trasmettere il senso di una «lettura» del tutto interiorizzata della realtà, delle attese e delle angosce quotidiane, di quel suo racconto intorno alle «forze di una natura nascosta, che creano suggestioni ed emozioni», alla «denuncia di una natura ferita nella sua essenza con le deturpazioni, gli incendi e le contaminazioni provocate dall'uomo, ma non solo: sono anche le ferite arrecate all'animo umano».
A questa riflessione dell'artista fa da riscontro il «corpus» di lavori presenti alla Martin Arte, con i quali riassume e racconta la vicenda creativa di un'intera vita.
Montà propone, quindi, nove momenti, che appaiono altrettanti spartiti musicali, con opere dal 1973 al 2012, più un autoritratto, che esprimono i capitoli di una narrazione avvertita come le pagine di un diario intimo e personalissimo, di ricordi riconquistati e rivelati, di un dialogo mai sconfitto dalla sperimentazione, ma da questa ha tratto gli elementi essenziali per «costruire» un suggestivo itinerario.
Le opere esposte sono state realizzate su tavola (tamburato), con un particolare intervento sul supporto. Mediante una sgorbia ha praticato dei fori per oltrepassare «la soglia del visibile andando oltre», per «scoprire» che la parte retrostante della tavola è una lastra di plexiglass specchiato e riflettente. L'effetto che si ottiene è quello di penetrare all'interno della rappresentazione, di giungere ai gangli della materia, di andare al di là del piano pittorico per prendere consapevolezza di una realtà diversa e diversamente interpretata e interpretabile. Questo perchè attraverso i fori - suggerisce Montà - compare «una luce che emana dalla lastra specchiata, una luce essenziale che è stata fondamentale per la creazione del dipinto».
Un lavoro che si snoda attraverso i nove settori dell'esposizione, comprendenti due opere ciascuno, che si aprono con l'iniziale «Simultaneità d'immagini», risolta con una «scrittura» estremamente controllata, e proseguono con il «Sogno di libertà» di una tigre e una leonessa, che appaiono i simboli della lotta per la chiusura degli zoo, in particolare quello torinese del Parco Michelotti. E, poi, s'incontrano «Sedici ministudi per un'opera”, «Mareggiata» e «Dentro l'onda» con il dinamico fluire della linea.
A questi primi momenti, si affiancano le sezioni «Tracce», «La collina», «Luna» ed «E-vento», che stabiliscono un diretto rapporto con l'osservatore, con il fascino di un riflesso o di una campitura del colore o, ancora, di una concettuale definizione dell'esistenza.
E il vento che piega e trasforma la vegetazione, l'energia imperiosa dell'onda sospinta da una violenta mareggiata, il dolore di una scomparsa tradotto in pannelli di una natura rivisitata e ricomposta («Luna»), concorrono a delineare il cammino di Montà e quella tensione che presiede alla elaborazione di «Colline» dai «rilievi inquietanti», percorse da nuvole scure e incombenti, sino ad approdare a cieli luminosi, rasserenanti, incontaminati di un «E-vento» dove l'artista si riappropria delle sensazioni e delle emozioni.
E un'infanzia ritrovata, la straordinaria natura della Sardegna, il sogno che riscatta la sofferenza, fanno parte della stagione di Montà ma, soprattutto, stabiliscono un decisivo rapporto con l'itinerario dell'umanità sempre condotto dalla ragione, da una sottesa spiritualità, dalla tessitura del segno-colore nello spazio della memoria.
Angelo Mistrangelo

Alla scoperta di una nuova luce

L’arte è un continuo divenire. Dalla materia grezza, dalla tela intonsa, il lavoro dell’artista dà vita all’opera, la quale vede la luce come il suo creatore le concede di fare, fino a poi “terminarla”. Ma quando un’opera può dirsi “finita”? Quando lo decide il suo creatore… ma questi può anche essere indotto a guardarla sotto una nuova luce e quindi spinto a ridarle vita ritoccandola, rimaneggiandola, arricchendola o depauperandola di particolari, seguendo nuovi pensieri, nuovi umori. Da questo punto di vista Fernando Montà non riesce a “lasciare in pace” le sue vecchie opere: continuamente queste si ripropongono nelle sue nuove realizzazioni, rifanno capolino, strizzano l’occhio alle nuove opere sussurrando loro la loro storia passata, alitando a queste “figlie” la loro anima, donano la loro storia. Ma Montà non si limita a far “riecheggiare” nelle sue nuove opere quelle del passato. Qualche anno fa riprese una delle sue ultime idee artistiche (le lune di E-vento) e fece un’operazione dal carattere molto forte ed incisivo per lui, riconosciuto come autore dall’animo gentile. “Ferì” metaforicamente le sue opere, interventando su di esse con delle colate di colore rosso sangue a dimostrare ciò che un’ opera può nascondere al suo interno: non solo idea ma corpo, un corpo che può essere “ferito” da una colatura di sangue che rende l’opera “umana”. Non pago di ciò, in questa ultima ricerca artistica, Montà si spinge oltre: non basta più il colore ad indicare metaforicamente ciò che vi è dentro la sua opera. Questa volta l’artista recupera, novello Noè, una coppia di opere per ogni periodo della sua produzione. Ogni coppia torna a vivere a nuova vita su una tavola lignea che viene prima quasi arabescamente ornata da incisioni filiformi di sgorbia che tendono a trasformare in bidimensionale ciò che una volta era solo dipinto, per poi essere penetrate ancor più violentemente da veri e propri fori, che rimandano al gesto storico dello squarcio della tela per arrivare a vedere ciò che si nasconde dietro/dentro l’opera.
In questo modo Montà ci porta ad una nuova visione della sua opera,ci porta alla scoperta di un luce retrostante/insita nell’opera, che permette di vedere al di là dell’opera, nel suo interno e qui, immancabilmente, dopo una tale violenza, non possiamo che scoprire “lacrime di colore” che sgorgano dietro/dentro ogni opera. Gocce di sudore dell’artista nello sforzo creativo, lacrime di dolore di animali chiusi in gabbia e lacrime di gioia di animali liberati, schizzi d’acqua di onde lontane, gocce di rugiada di fili d’erba intrecciati, gorghi di luce frammisti agli umori del terreno e ai miasmi dell’anima.
Più l’artista sembra ritenere “concluse” alcune di queste opere del passato, più sembra osare penetrarle, svelare ciò che c’è dietro/dentro di loro, ed una luce nuova illumina le nuove/vecchie realizzazioni di questo animo d’artista così delicato, così tormentato, sempre alla ricerca di una nuova luce …
Paola Barbarossa

Il Cerchio e la Natura

E’ il decimo stadio di approfondimento della ricerca dell’artista, che segna un periodo di quarant’anni di impegno nel campo della pittura.
Tutte le opere sono inscritte in un cerchio o in un ellisse e la scelta di tale modulo non è casuale, ma ha radici profonde, legate al rapporto ancestrale e primigenio dell’uomo con la natura.
A livello simbolico, il cerchio rappresenta la perfezione, l’omogeneità, l’assenza di distinzione o divisione e questo concetto di “totalità indivisa” lo rende espressione di continuità ed armonia.
Il suo passaggio alla forma solida della sfera evoca i pianeti con i loro movimenti rotatori, le fasi solari e lunari che alternano quotidianamente il giorno e la notte, la luce e l’oscurità, scandendo il senso di ciclicità del tempo, in un moto cosmico continuo e perfetto.
L’artista si avvicina al pensiero dei Nativi d’America, per i quali il cerchio e la ruota esprimevano il principio di relazione dinamica con tutto ciò che ci circonda, in primis l’ambiente naturale ed i nostri simili. Gli Indiani d’America consideravano il cerchio come il simbolo principale per comprendere i misteri della vita, in quanto avevano osservato che esso compariva ovunque in natura: negli astri, nei movimenti planetari, nell’arcobaleno, nei nidi degli uccelli …
Le opere “Collina”, “Luna”, “E –vento” sembrano sussurrare che ogni energia – umana o cosmica – scorre su fili estremamente fragili, tesi fra i frammenti dell’universo: alti steli flessuosi e sinuose forme vegetali ruotano vorticosamente, come esili fili d’erba agitati dal vento o dalla brezza marina, intrecciati in un groviglio fitto ed impenetrabile .
Comprendere che la natura è rigogliosa e forte, ma altrettanto delicata e bisognosa di protezione: questa la consapevolezza sulla quale si basa il senso di “sacra responsabilità” dei nativi nei confronti di ogni essere vivente o di ogni elemento presente sulla Terra, che per l’artista si traduce in un profondo rispetto per la natura ed in una spiccata sensibilità nei confronti delle problematiche eco – ambientali.
Se il cerchio rappresenta l’equilibrio naturale e l’armonia con l’ambiente circostante, allontanarsi da esso genera dubbio, smarrimento, annientamento della propria possibilità di realizzazione… E’ cio’ che emergeva in precedenti opere pittoriche del 2008 (”Ferite”), nelle quali l’immagine di una natura trascurata e violata si traslava sul piano esistenziale, quasi a rimarcare lo sconvolgimento dell’animo umano, quando si allontana dalla pienezza dell’essere e dal proprio equilibrio: allora la traccia vermiglia si stagliava drammatica sulla tela, lacerandola; qui invece le colate di colore, poste sul retro del supporto, si intravedono attraverso i fori che oltrepassano il dipinto, ricreando la visione del colore originario del quadro: la luce filtra sulla tavola e si riflette sulla superficie specchiata, dando origine a differenti prospettive; le opere vengono reinterpretate e si trasformano nel tempo, permeate da una nuova e rinnovata energia.
Anche “Girasole – Autoritratto” ci porta a “guardare dentro l’opera” , instaurando un rapporto partecipativo più stretto con l’osservatore: all’interno si scopre il ritratto giovanile dell’artista, anch’esso inserito in una struttura circolare. A livello metaforico, il fiore ruota continuamente seguendo la luce dell’astro solare, traendone vita e calore, così come l’artista percorre il suo cammino, alla costante ricerca dell’ispirazione e del miglioramento.
I moduli quadrati, a spigoli vivi - tipici del periodo iniziale – si sono evoluti in forme smussate e convesse, che trasmettono una sensazione di maggiore coesione con l’ambiente circostante e svelano una progressiva tendenza dell’artista alla riflessione, tesa al raggiungimento di una preziosa saggezza.
La forma circolare è quella che meglio si appresta a simboleggiare il senso di ciclicità del tempo, il cui scorrere – benché continuo ed inesorabile – concede tuttavia la possibilità di seguire un percorso di crescita unico e del tutto personale: sul piano pittorico l’opera ripresa e riproposta perde di intensità ed immediatezza, ma conserva l’ “essenza” e lo spirito originario, arricchita di nuove valenze e connotazioni.
Mediante l’inserimento di nuovi moduli e supporti viene proposta una lettura innovativa del dipinto, che non si ferma in superficie, ma invita a guardare “in profondità”, oltre la soglia del visibile e della pura percezione, per arrivare a cogliere l’essenza cosmica universale, essenza profonda della natura e dell’animo umano.
Irene Montà

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