La laurea, per Lello Chiaia, giunse nel maggio del 1982, all’Università "La Sapienza" di Roma; mentre si divideva tra gli studi nella Capitale e un’esperienza di volontariato, compiuta a Trieste in stretto rapporto con il professor Franco Rotelli, successore di Franco Basaglia. Lo stesso anno in cui si laureò, partì per un primo viaggio verso l’Oriente: prima in Sicilia, ad Agrigento, e poi in Grecia, a Creta e da Atene in India.
Ma cosa, mai, indusse Lello Chiaia - a un certo punto della sua vita, ancora molto giovane - a lasciarsi completamente alle spalle nel 1984 l’esperienza psichiatrica, per iniziare a fare dell’altro? Proprio lui che fu tra i fautori di clamorose proteste contro quelle che lui definiva le “istituzioni totali” e che ha combattuto, in prima linea, sia a Bari, sia Trieste, affinché si iniziasse a dare una possibilità di assistenza alternativa a quelli che fino a quel momento, con molto pregiudizio, erano ritenuti “malati di mente” da contenere e sottoporre a terapie elettroconvulsivanti?
Insomma, che cosa mai spinse Lello Chiaia a compiere una scelta così, tanto, radicale e innovativa per quegli anni del Novecento che si erano lasciati, da poco, alle spalle l’esperienza rivoluzionaria - della “immaginazione al potere” - del ’68 studentesco? Riteniamo che la sua decisione derivasse dal profondo attaccamento che lui nutriva (in forma anticipatrice rispetto a molti altri) nei confronti del “patrimonio culturale immateriale dell’umanità”: così come rimarcato, in tempi più recenti, dall’UNESCO. Insomma, fu il suo attaccamento, radicale, alla cultura popolare; alla tradizione etno/demo/antropologica; alle pratiche sociali e rituali compiute, in particolare, in oriente, e alle “abilità artigiane” che determinarono quella sua necessità di “porsi in cammino”, come un viandante di nietzschiana memoria e come un sādhu, come uomo buono e onesto orientale, attento: alla liberazione dell’individuo dall'illusione, al dissolvimento dell’essere nella pratica del Divino e alla fusione della persona con la “Coscienza cosmica”. Questo suo modo di essere rispondeva, anche, non c’è che dire: alla sua indole personale, al suo carattere passionale e al suo “patrimonio ideologico” di tipo comunardo, in tempi in cui le dottrine, le filosofie e i pensieri valevano ancora molto, prima che si affacciasse, sul nostro tempo, la “modernità liquida” (così come ne parla il sociologo polacco, Zygmunt Bauman).
Lello Chiaia credeva nel potere di riscatto delle masse: a partire, innanzitutto, dall'unione tra il ceto contadino (non quello dei proprietari terrieri, ma dei reietti e dei “senza terra”) e il proletariato industriale, così come teorizzato dal filosofo russo, Michail Bakunin. Lui credeva, pure, in quelle che oggi sono conosciute (dopo le scoperte compiute dal biologo statunitense, Rick Strassman) come le “molecole dello spirito”. E che consistono in quell’ormone che è prodotto dalla ghiandola pineale: la quale è stata considerata, a sua volta, dagli Indù come il luogo del “settimo chakra” e da René Descartes come la “sede dell’anima”. Lello Chiaia credeva in questo genere di “ricerca psichedelica” che è stata indagata, in maniera molto approfondita, in tempi recenti, dagli studiosi dell'Università del New Mexico, attraverso l’opera meritoria compiuta da Rick Strassman.
Da ateo piuttosto convinto, libero ricercatore e uomo estremamente razionale, Lello Chiaia credeva, nonostante tutto, nel “movimento dello spirito”: dentro e fuori dal corpo. Credeva negli stati più alti della “meditazione yogi” e della “trascendenza tantrica”. E confidava, pure, in quelle “istanze intrapsichiche” dell’Es (di freudiana memoria) che sono in grado di trasformare l’anima e la mente di ogni persona che si integra, giorno dopo giorno, al “processo esistenziale” della nascita, della vita e della morte. Questo l’ha portato a sentire la malattia - che l’ha colpito nell’ultima fase della sua esistenza terrena - come qualcosa di cui poterne avere, comunque, possesso. Nonostante essa si presentasse, in maniera subdola, vigliacca canaglia e “carogna”, come lui diceva. Da qui la definizione - da lui stesso adottata per descrivere l’infermità e la patologia - di “Metastasia”. Ovvero: quel “regno fuori dal tempo” – come lui lo definiva – di cui lui si sentiva il “sovrano assoluto”.
Ci piace ricordare, in aggiunta, che Lello Chiaia, nella sua dimensione di viandante e di artista di strada (che amava intrattenere i suoi ammiratori con le tinte briose dei suoi laccetti colorati e con la sua “parola affabulatrice”, e che si divideva tra gli interessi di videomaker e fotografo) è stato, anche, solidale e partecipe (in maniera cosciente o meno, questo poco importa) alla teoria dei “passi magici”. Proprio quella che è stata espressa - a partire dagli anni ’60 del XIX secolo - da Carlos Castaneda: scrittore peruviano, naturalizzato statunitense. E al pari di questi, che è stato il teorico della “tensegrità” (che si basa sulla contrazione e sul rilassamento dei muscoli, e sui mutamenti repentini degli stati di veglia e coscienza) così Lello Chiaia ha interpretato (forse senza esserne del tutto consapevole) i fenomeni dello “sciamanismo tolteco”: quello che è appartenuto al Messico precolombiano e che è in grado - ancora adesso - di ripristinare, attraverso le sue pratiche misteriose ed esoteriche, l’energia che si annida (in forma di onde elettromagnetiche, che non sono visibili ai più) all’interno del “corpo energetico”, che è presente in ogni essere umano.
Tutta la vicenda umana, professionale, esistenziale e creativa di Lello Chiaia, che abbiamo qui ripercorso per “cristallizzarla” nella storia, è stata “fermata” da una fotografia. È quella scattata dal fotografo milanese, Oliviero Toscani che in un suo studio semantico, socio/politico, culturale e antropologico (denominato “Razza umana” e storicizzato da Achille Bonito Oliva) ha “esplorato” la morfologia di circa mille e cinquecento visi umani, per vedere com’è “fatta dentro” ogni persona: oltre le pieghe del volto, la luminosità delle fronti e degli zigomi, le rughe della faccia e le espressioni degli occhi. Al di là, vale a dire, delle caratteristiche fisiche e somatiche di ogni individuo. Nella fotografia che riprende, in particolare, Lello Chiaia (portata in giro per il mondo e che è stata esposta, per un lungo periodo, in Piazza della Rinascita a Pescara, e poi negli spazi sotterranei della metropolitana di Napoli in forma permanente) c’è una grande tensione emotiva ed emozionale. Appare, cioè, l’uomo attento alla bellezza e all’armonia. E che testimonia con l’espressione del suo viso e con la postura del suo corpo, l’unità olistica del Creato, trasferita nella “dimensione interiore” dell’individuo (quella dell’”intimo sé”) e nelle molteplici “espressioni identitarie” del “genius loci”: qui inteso come una sorta di ”io plurale” che sopravvive (in forma transeunte) nel tempo e nella storia, come nel caso della “Transavanguardia pittorica” (di Sandro Chia, Enzo Cucchi, Francesco Clemente, Nicola De Maria e Mimmo Paladino) che fu assai apprezzata da Lello Chiaia, come “fenomeno d’idee”.
Copyright © Rino Cardone
Commenti 0
Inserisci commento