"I SENSI LIQUIDI": OPERE DI CLAUDIO MALACARNE (c/o Largo Raffaello Pignatari, 1 - 85100 Potenza)
Mostre, Potenza, 23 May 2015
“I SENSI LIQUIDI” - L’arte tra «modernità fluida» e «pensiero unico». La pittura di Claudio Malacarne.

Nella visione classica e accademica, l’opera d’arte rappresentava lungimiranza di visione: estasi, incanto e contemplazione della bellezza. E nel suo approccio con la modernità estetica, l’opera d’arte ha confermato non solo tutto questo, ma anche che essa può ritenersi valida, quando rappresenta l’esagerazione di un’idea: come voleva André Gide. E non basta, la buona opera d’arte scuote la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni, a partire dall’anima dell’artista: come diceva Pablo Picasso. Aveva pure ragione Oscar Wilde quando sosteneva che l’arte è l’unica cosa seria al mondo. E aveva, altrettanto, motivo di essere nel giusto Theodor Adorno quando affermava che l’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità. Proprio come fa Claudio Malacarne, quando ci propone le sue “silhouette della memoria”: intinse di emozioni e ricordi, e trasposte sulla tela in immagini dove le figure sono immerse nell’acqua. Si tratta di “icone laiche” che si offrono alla visione del fruitore, senza che questi le chieda: in maniera generosa da parte dell’artista. Torna in mente, a questo proposito, il detto zen secondo il quale “l’amicizia e l’amore non si chiedono come l’acqua, ma si offrono come il thè”.
Oltre a tutto ciò, la storia dell’arte contemporanea ci sta confermando il concetto, l’opinione, che è anche un paradosso (sul filone di quella dimensione scientifica che applica la “teoria quantistica” alla produzione creativa) che l’arte può dirsi “generativa” solo quando il caos incontra l’ordine, e viceversa. Adottando questo genere di “approccio estetico” alla “costruzione artistica” contemporanea si può arrivare, persino, a considerare (sull’onda lunga delle più recenti teorie che ci sono state fornite dalle neuroscienze e dalla fisica quantistica) l’uso dell’algoritmo nella “produzione immaginifica”. Non sbalordisca, in maniera assoluta, questo tipo di approccio, abbastanza insolito, all’arte contemporanea. Basti guardare, a questo riguardo, alle opere prodotte da Claudio Malacarne, dove il cosiddetto “artista generativo” (lui nel caso specifico) si pone, come obiettivo, d’impossessarsi di un “algoritmo creativo” capace di codificare le regole di generazione dell'opera. Tutto questo, partendo dalla “immagine sensoriale” che l’artista si propone di ottenere sulla tela e passando, poi, nell’elaborazione del dettaglio, alla sua “definizione ornata”: all’interno del piano prospettico dell’opera. Il passaggio successivo è quello di dare alla figura, una sensazione di movimento e in una fase, ancora, successiva di dar corpo alla composizione (che potremmo, addirittura, definire come una “architettura”) dentro la quale circoscrivere la scena del suo “racconto visuale”.
Fatte salve tutte queste condizioni che appartengono alla moderna “sperimentazione immaginifica”, viene da chiedersi come la pittura di Claudio Malacarne risponda al doppio principio di “assolutezza creativa” e di “universalità semantico/linguistica”: che rappresentano, in definitiva, i due presupposti, necessari e indispensabili per consentire a ogni buon artista (che possa dirsi tale e che crede, e che investe, nel suo “lavoro creativo”) di “partorire una stella danzante” con le sue opere, come riteneva Friedrich Nietzsche. E tutto questo partendo, sempre e comunque: da quel “disordine imprevedibile” della “materia pittorica”, da quella “casualità delle idee” e da quel “caos delle forme”, delle figure, delle luci e dei colori, che l’artista sente dentro (prima di iniziare a dipingere) e che elabora, poi, sulla tela, prima bianca e poi, a mano a mano, sempre più disegnata e sempre più colorata.
Riteniamo che l’”assolutezza creativa” - nel caso specifico della pittura di Claudio Malacarne - risieda nella scelta della “tecnica pittorica” da lui adottata: dove espressione e impressione, linguaggio e segno, significato e opinione, sentimento e valutazione della realtà, si mescolano, si integrano e si amalgamo, in maniera perfetta, tra loro. E cioè in una pittura che è al tempo stesso: forte, intensa, espressiva, intuitiva, allusiva, sintomatica, rivelatrice, significativa e significante. Una scelta, quella di Claudio Malacarne, che appare, quanto mai, interessante, specie in un momento, come quello attuale, in cui la gran parte dell’arte visiva contemporanea procede verso i “linguaggi digitali” (della fotografia e della video art) e verso le “esperienze performative” e “concettuali” (che danno centralità al corpo, alla mente e alla ragione).
Di fronte a questa situazione generale e complessiva di “scelte estetiche” e di precise “applicazioni tecniche”, Claudio Malacarne si affida (come fa ogni buon artista legato all’”ecumenismo della pittura”) ai sensi, addirittura intesi come “sensi liquidi”, che persistono nel cosmo e nello spazio, in termini di opera tangibilmente prodotta sulla tela, ma che si dissolvono nel tempo e nella storia: sia come “sensazioni ricevute” e sia come “percezioni ricavate”, attraverso le figure da lui dipinte. E cioè: bagnanti e nuotatori, immersi in vaste distese d’acqua, tra onde che beccheggiano e che fluttuano, mischiandosi tra loro, e tra forme e figure, che appaiono e che spariscono, secondo la “prospettiva ottica” dentro la quale ci si pone per osservare queste sue sagome e queste sue masse cromatiche.
L’”assolutezza creativa” della pittura di Claudio Malacarne sta, anche, nell’attualità del suo messaggio artistico: attento ai contenuti estetici, quanto alla qualità tecnica del suo “codice ornato/narrativo”. Aggiungendo, inoltre, a queste sue qualità espressive la contemporaneità estetica, che ammanta complessivamente le sue opere. Si tratta di lavori nei quali è possibile rintracciare la potenza di quella “modernità liquida” teorizzata dal sociologo polacco Zygmunt Bauman: il quale vede svilupparsi - all’interno della storia della nostra epoca e della “cultura del presente” - un lungo processo di liquefazione di tutti quei modelli e di quei prototipi che sono stati costruiti, in precedenza, dalla nostra società.
Tra tutti gli archetipi che sono stati creati, in passato, dall’essere umano ce n’è uno, quello dell’acqua (cui ricorre spesso Claudio Malacarne, nelle sue più recenti opere) che è il simbolo per antonomasia (e anche il più ricorrente) dell'inconscio umano. Si tratta di un segno, di una traccia, di un’impronta e di un’immagine, ma anche di un’allegoria e di una metafora, giacenti sotto gli stati più profondi della coscienza umana. Si tratta, in altre parole, di "orme dell’Io" e di "simboli della realtà", che si annidano in quel subconscio che funziona, tra l’altro, come “forza motrice dell’arte”: a parere del medico, neurologo e psicoanalista austriaco, Sigmund Freud. Questo significa che siamo alla presenza di una “dimensione semantica” che agisce al di fuori dello “stato di coscienza” e che affonda la sua struttura, più intima, all’interno del cervello: in quell’ipotalamo di recente sempre più indagato dalle neuroscienze cognitive, che tentano di fare sempre più luce - in maniera scientifica - sugli aspetti più caratteristici della “soggettività umana”: come appunto l’arte, la creatività e l’estetica.
A questo riguardo, ci sentiamo di poter affermare che tutta la serie “semantico/acquatica” delle opere di Claudio Malacarne, ci mostra la “presenza vivente” dell’artista nella sua pittura, mediata dalla sua “fantasia creatrice”: come ci ha insegnato Carl Gustav Jung. Questo ci porta, ulteriormente, a sostenere (sempre ripercorrendo la “linea teorica” indicata dallo psichiatra e psicoterapeuta svizzero) che nel ciclo pittorico dei “sensi liquidi” (recentemente prodotta dal pittore mantovano) si avverte la presenza del suo “inconscio sovrapersonale”. Una realtà, questa, della mente (usando ancora le parole di Carl Gustav Jung) che generalmente “si anima nell'uomo dotato di facoltà creative” e che si rivela, altresì, “nella visione dell'artista, nell'ispirazione del pensatore e nell'intima esperienza del mistico”. E Claudio Malacarne ci conferma, appunto, tutto questo. E anche altro, per la verità. Ci conferma, ad esempio, che il simbolo dell’acqua si associa al principio di tutte le cose. E cioè a quel grembo materno e a quel liquido amniotico, attraverso i quali ogni essere umano, viene alla vita e nondimeno - questo stesso archetipo dell’acqua - ci rimanda a quella “natura feconda” che trae sostanza dal suo “elemento liquido primordiale”.
Per quanto attiene, ancora, all’”ecumenismo della pittura” e alla “universalità semantico/linguistica” del messaggio artistico di Claudio Malacarne, esso risiede nel rifiuto, da parte sua, di quel “pensiero unico” che sta spingendo la società contemporanea (secondo il sociologo polacco, Zygmunt Bauman) ad accettare la “realtà presente”, come qualcosa d’immodificabile. E questo a causa, non solo della “fine delle ideologie” (conseguente a una “cieca concatenazione di eventi” che si sono verificati nel corso del XX secolo, secondo il politologo statunitense Francis Fukuyama) ma, anche, per il sopravanzare, continuo e forsennato, di un “sistema egemone” e di un “atteggiamento dominante” (di tipo, perlopiù, neoliberista in senso economico) che antepone il profitto, sull’attestazione dei pensieri e sul dispiegarsi dei valori.
Nel caso specifico della pittura di Claudio Malacarne, questo rifiuto del “pensiero unico” (la cui natura tratteggiò, per primo, il filosofo francese Auguste Comte, quando descrisse l’evoluzione della società umana da una dimensione teologica, a una di genere ontologico, a una di tipo razionalista) si traduce, di fatto, nelle opere di quest’artista lombardo, di natura romantica e sentimentale, in una sorta di “universalità pittorica” che utilizza la “molteplicità delle forme” (da lui dipinte, sul piano prospettico dell’opera, in maniera morbida, aggraziata e accattivante) rifiutando ogni genere di “tendenza estetica” che possa risultare (allo sguardo di chi osserva) eccessivamente pragmatica, concettuale, concreta e positivista. Attraverso questo “modus operandi” Claudio Malacarne raggiunge, di fatto, l’obiettivo di dare forma a una pittura che assume, in se, il pensiero di quei moderni “creativi culturali” che vogliono rimettere l'essere umano al centro della società e che sostengono, nella stessa misura, che il progresso procede per sbalzi repentini e non in maniera lineare, come si riteneva un tempo.
Aggiungiamo che i “creativi culturali” rappresentano, in questo momento, un fenomeno molto importante, che è stato descritto dal sociologo Paul Ray e dalla psicologa Sherry Anderson – ambedue statunitensi - cui si sono, poi, aggiunti gli studiosi del “Club di Budapest” con Ervin Laszlo in testa: per il quale noi, oggi, viviamo in un mondo in cui gli individui vanno considerati, sempre e in ogni caso, come soggetti collegati, inevitabilmente, uno all’altro, e con l’universo intero. In questo contesto generale di “visione olistica” (ampiamente allargata a tutta la dimensione del “vivente”) il cosmo e la natura vanno, per di più, considerati non come qualcosa di avulso dal nostro intelletto, ma come una realtà, completamente, abbracciata al nostro cervello e alla nostra intelligenza. E di conseguenza al nostro cuore.
Ecco, allora, che l’arte assume in questa situazione complessiva (ben nota all’artista Claudio Malacarne) un ruolo assai importante, nell’articolare un collegamento tra uno stato e l’altro della coscienza umana, e tra una condizione e l’altra della spiritualità. E tutto questo, sempre e in ogni caso, attraverso il veicolo dell’estetica pura, che nell’artista dei “sensi liquidi” prende la forma di una “realtà caleidoscopica”: quella della luce riflessa sull’acqua. E non solo. Prende, anche, l’aspetto e la conformazione di una situazione in continuo divenire e in incessante movimento: come accade nel caso dell’immagine dei nuotatori che muovono le loro braccia, all'interno dell’acqua.

- Copyright © Rino Cardone –

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