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“NATURA NATURANS” E “NATURA NATURATA” NELLA SOGGETTIVITÀ ESTETICA DELL’ARTE.
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È finalizzato alla comprensione delle opere monumentali presenti sul territorio e alla conoscenza degli artisti che le hanno realizzate - aderendo al progetto “Arte Pollino: un altro Sud” - il concorso voluto dall’Associazione Culturale ArtePollino di Latronico. Ricordiamo che il progetto in questione è inserito nel programma "Sensi contemporanei" ed è stato promosso dalla Regione Basilicata, dal Ministero dello Sviluppo Economico, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dalla Fondazione La Biennale di Venezia.
In questa prima edizione di questo concorso, il tema, assai appassionante e avvincente, che è stato trattato è “l’incontro fra arte e natura”. Esso ha avuto un’articolazione impegnativa e coinvolgente, sia per il numero di persone e di “soggetti istituzionali” che sono stati invitati a partecipare e sia, anche, per la maniera con la quale sono state compiute le selezioni, divise in due sezioni: un’artistica e un’altra educativa. L’esperienza (finanziata dal Gruppo di Azione Locale “La cittadella del sapere”) si è sviluppata nel corso di più mesi di attività - tra l’estate e l’autunno del 2014 - da parte di sette gruppi di lavoro, ognuno dei quali composto da tre giovani artisti e da un insegnante, assegnato a ogni team. Di conseguenza, sono state coinvolte, nell'insieme, una trentina di persone. L’impegno dei docenti e degli studenti è stato suddiviso in più fasi. La prima è stata quella della predisposizione dei progetti. A seguire, poi, l’esecuzione degli elaborati. E a concludere, infine, la selezione e la valutazione delle opere, da parte di una giuria internazionale di esperti, nominata, dagli organizzatori, per valutare le idee, i programmi e le esecuzioni. La selezione ha catalizzato, in particolare, l’interesse e l’attenzione di più docenti e di numerosi giovani artisti, che frequentano - tra nord, centro e sud Italia - sette Accademie di Belle Arti: Ravenna/Bologna, Firenze, L’Aquila, Napoli, Lecce, Catanzaro e Reggio Calabria.
Ma quale l’intento che si sono prefissati gli organizzatori e i promotori di questa iniziativa? Innanzitutto, quello di far conoscere (obiettivo, questo, che è stato centrato, senza nessuna difficoltà) a un gruppo di giovani “talenti creativi” e ai loro insegnanti, la ricchezza di un paesaggio, quello lucano (che si presenta a tratti piatto e disteso, e a tratti montuoso e brullo) che qualcuno ha battezzato (con indubbia giustificazione oggettiva e motivazione soggettiva) come un “altro sud”. Un lembo di meridione d’Italia, dunque, che assume i connotati di un vero e proprio “acrocoro montuoso” (articolato e distribuito su diverse centinaia di chilometri quadrati di territorio) che è quello, poi, del massiccio calabro/lucano del Pollino. Un ampio territorio che costituisce (ormai da qualche anno a questa parte, quasi in una sorta di “naturale vocazione” che sembra essere posseduta da sempre da quest’area) uno spontaneo “anfiteatro” di opere d’arte e di giganteschi “manufatti creativi” di spettacolare “bellezza architettonica”, di assiomatico “significato semantico” e d’irrefutabile “valore monumentale”.
È il caso - ad esempio - dell’opera realizzata dall’artista britannico Anish Kapoor (padre originario dell’India e madre irachena, di religione ebraica) il quale ha fatto praticare (con complesse operazioni di scavo, condotte da maestranze locali, lucane) un “taglio concavo” del terreno realizzando - in questa maniera - una sorta di pertugio, di crepa, di foro e di fessura (ricavata appena sotto a un pianoro erboso, nell’area delle Terme di Latronico) a sette metri di profondità e con un’estensione orizzontale di quarantacinque metri. Il tutto, a costituire, in definitiva, come una sorta di “fenditura della superficie” e a comporre - nella stessa identica misura - una “scala cronologica perpetua” e una “finestra permanente del tempo” (dicasi pure: uno “spacco del suolo”, un “taglio del paesaggio” e una “fenditura del terreno”) che si apre - come per incanto e come per magia - “dentro” e “fuori” il naturale svolgersi degli eventi quotidiani e il corso della storia. E capace, altresì, di ripercorrere, nel suo “sviluppo plastico/geometrico/spaziale” e nella sua “dimensione architettonica” i diversi cicli, glaciali e interglaciali, e le tante ere, e le cospicue epoche, attraversate dal pianeta Terra: via via nel tempo, nel corso di migliaia e migliaia di anni, della sua remota esistenza cosmica. Il tutto, se vogliamo, con lo stesso “andamento molle” (al tempo stesso: fluido, fluente, sciolto e scorrevole) delle sequenze e delle concatenazioni, mostrate dai fotogrammi di una pellicola cinematografica: la quale scorre, lenta, inesorabile e severa (come in una sorta d’incantesimo e di sortilegio, che accarezza e che cattura chicchessia) davanti allo sguardo del fruitore, che è coinvolto nella visione, stessa, della fatata e prodigiosa “narrazione visuale”.
Con l’artista Giuseppe Penone (importante esponente della corrente internazionale dell’Arte Povera) questa dimensione della “raffigurazione della storia” (mostrata per strati successivi, e soprapposti, di conglomerati di terra, come nel caso dell’opera di Anish Kapoor) ha assunto i connotati (in un’altra opera anch’essa di tipo monumentale e anch’essa realizzata nell’area del Pollino) di una vera e propria “rappresentazione sentimentale” del Creato e di “raffigurazione emozionale” della natura. E questo dando ampio risalto all’ambiente, attraverso una serie di percorsi e di “camminamenti” (fatti di pietre, ciottoli, selci e sassi) a loro volta circoscritti e “perimetrati” con enormi blocchi di pietra. Non dando centralità, in questo caso, pertanto, allo “scenario sotterraneo” (come nel caso della scultura di Anish Kapoor) ma ai minerali e alla vegetazione, affiorante dalla superficie aspra e accidentata del terreno. Si tratta di elementi che appartengono, di fatto, all’habitat, all’ecosistema e alla “nicchia ecologica” del paesaggio. E che si presentano, altresì, come “espressioni speculari” di quell’ordine, di quell’equilibrio, di quella perfezione e di quell’armonia, che sono insiti nel Creato. E quindi tra alberi e cespugli, e in maniera più particolare realizzando un percorso di “pietre su pietre” (predisponendo, ovverosia, uno sull’altro, massi e macigni) Giuseppe Penone, ha creato (in un’assolata fiumara, lungo la Valle del Sarmento) una sorta di “proscenio monumentale” e di “palco naturale” (del diametro complessivo di centoventicinque metri) capace di esaltare, di amplificare e di dilatare - al tempo stesso e n maniera contestuale - tutte quelle “espressioni semantiche” del territorio, che si associano (per proprietà di simboli e per classe di archetipi) allo stato di quiete assoluta, di “abbandono esicastico”, di “silenzio nostalgico” e di “spazio meditativo/della memoria” nei quali, di fatto, si ritrova ogni ricercatore dello spirito; o per meglio dire ogni viandante, o viaggiatore, o “nomade del pensiero” - che esso sia - all’eterna ricerca di uno stato di dolcezza, di serenità e di beatitudine, dettato (come prometteva, e come annunciava, lo scrittore francese Stendhal): da una “promessa di bellezza” e, quindi, da un impegno a raggiungere, ad ogni costo: la felicità e la contentezza, la serenità e la gioia, la calma e il piacere.
Di tutt’altro genere (ma di analogo “impatto monumentale”) è invece l’opera posta in essere, in maniera tangibile, sempre sul massiccio del Pollino, da Carsten Höller: il quale non è nuovo - per la verità - nella sua versatile e assai eterogenea esperienza artistica, a realizzare delle vere e proprie “contaminazioni creative”: tra “esplosione immaginifica” e “modularità meccanica”. Nel caso specifico dell’opera, da lui realizzata, per dare – sulle montagne del Pollino - ampio risalto alla “risorsa paesaggistica”, quest’artista nord europeo ha “centrato” la sua attenzione sulla “dimensione del tempo”, che scorre (quasi senza che uno se ne renda conto): lento e inesorabile, imperscrutabile e misterioso. Si tratta di un fluire ininterrotto di anni, mesi, giorni, ore, minuti e secondi, che non si possono arrestare mentre il tempo gira gira su se stesso, nei cicli delle stagioni, come in una sorta di “carosello rotante” che nell’opera di Carsten Höller assume la forma, proprio, di una gigantesca installazione, di un’enorme giostra (con dodici braccia rotanti e con ventiquattro posti a sedere) che l’artista ha fatto collocare sulle pendici di una collina: in territorio di San Severino Lucano, in un angolo assai suggestivo - e incontaminato - del territorio del Pollino e in un punto dal quale è possibile ammirare uno straordinario paesaggio naturale, di media/alta montagna.
Fin qui le opere che è impensabile non immaginare, che non hanno sollecitato la fantasia, la creatività e l’immaginario dei giovani “talenti creativi” che hanno partecipato a questo concorso d’idee, voluto dall’Associazione Culturale ArtePollino di Latronico e che era rivolto – ribadiamo - agli allievi e ai docenti delle Accademie di Belle Arti italiane. E che aveva come tema – riaffermiamo - l’incontro possibile tra arte e natura. Ebbene, fatte queste prime considerazioni, occorre dire che il rapporto tra la bellezza e il creato, è stato esplorato, scandagliato, analizzato, sviscerato e approfondito in passato: in numerose circostanze storiche, in differenti condizioni socioeconomiche e in molteplici contesti culturali. E lo è stato - scomposto ed esaminato - sin dall’Antichità.
Si è parlato, dunque, del legame tra arte e natura, non solo, a partire dalla “complessità culturale” del Medioevo e dalla “copiosità intellettuale” del Rinascimento, ma prima, molto prima. Di fatto, questo tema è stato sviscerato ancor prima di quell’Umanesimo che pose al centro di ogni cosa, l’essere umano. E ancor prima, se vogliamo, di quei secoli (per molti versi ritenuti “bui” ma che, di fatto, non lo sono stati per nulla) nei quali si sono manifestati i caratteri - arcaici e primigeni - della “dimensione ontologica” medievale. Possiamo affermare, pertanto, che la corrispondenza tra etica ed estetica, tra immaginazione e ragione, tra “dimensione fisica” e “realtà creativa” è stata vagliata, esaminata e investigata, già dai Greci e dai Romani: i quali ci hanno consegnato, gli uni e gli altri, un concetto molto “alto” (aulico, raffinato e solenne) di persona umana in grado, non solo, di avere piena coscienza di se (attraverso la forza del suo pensiero) ma anche capace di apprezzare la natura profonda della realtà delle cose: quella che lo circonda e di cui egli è una parte e un riflesso.
Da una parte, dunque, è l’arte, che reca in se le qualità, le caratteristiche, le prerogative e i requisiti, tanto della bellezza e tanto degli archetipi del pensiero umano. E dall’altra parte è, invece, la natura, punto di partenza e di arrivo di ciascuna “ricerca escatologica” volta a vagliare e a esaminare, sia la realtà dell’universo e sia, anche, la concezione stessa del Creato: la quale reca in se (nelle pieghe - a volte nascoste e a volte evidenti - del pianeta Terra e dello spazio siderale, che lo circonda) il concetto di Dio, collegato a sua volta a quella dimensione di ordine, armonia, equilibrio, perfezione e simmetria geometrica, che è possibile rintracciare nei “segni palesi” del Cosmo: inteso tanto nella sua “dimensione fisica” e tanto, anche, nella sua “proiezione metempirica”. E la mente va in questo caso – pensando all’Antichità - a quell’Aristotele: il quale credeva che l’arte e la natura fossero, entrambe, prive di “risoluzioni finali” e definitive, nel senso che, ambedue, agiscono in vista di un “fine ultimo” che non è mai assoluto, ma che è relativo. E ancor meglio può dirsi – aggiungiamo noi - progressivo.
E non basta. Il pensiero, dopo Aristotele, va anche ad Averroè che, nel Medioevo arabo, non solo rimarcò la natura, in qualche misura, gigantesca, illimitata e infinita, dell’”intelletto materiale” dell’individuo, ma che assegnò, anche, alla persona umana la capacità di spingersi (attraverso i valori assoluti della sua mente e attraverso la “specificità cognitiva” della sua intelligenza, del suo pensiero e della sua arte) oltre i limiti e i confini della sua “misura materiale” oltre, cioè, quelle “Colonne d’Ercole” dell’Io individuale, solo superando le quali ci si apre, non solo, a una visione completa e assoluta di Infinito, di Eternità e di Armonia, ma ci si apre, anche, a quella sorta di “approdo sicuro” che è rappresentato dalla realizzazione di se stessi, a contatto diretto con Dio e con il Creato.
Non è possibile, inoltre non porre l’accento (in questo veloce excursus storico sul rapporto che esiste tra l’arte e la natura) la qualità del pensiero rinascimentale, del quale furono grandi interpreti e protagonisti, tra gli altri: Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e Sandro Botticelli, ognuno dei quali pose le condizioni allo svilupparsi di un concetto, nuovo e rivoluzionario, di arte intesa non solo in senso materiale, ma anche in forma spirituale. E capace vale a dire, in questa maniera, di porsi come mezzo di elevazione dell'Anima, sempre più tendente verso Dio. E capace, al tempo stesso, di riprodurre (con l’arte e attraverso l’arte, sotto l‘ombrello di una Pura Bellezza Estetica) quella “Armonia superiore” che attraversa - in forma diacronica e sincronica, rispetto al tempo - tutto l’universo.
Fin qui, dunque, il passato. Per quanto riguarda, invece, il “presente storico” noi, oggi, sappiamo, che a fronte di questo fecondo patrimonio culturale, tanto d’idee, quanto di forme estetiche del passato, l’individuo contemporaneo (oggi dilaniato e diviso tra la voglia di apparire e la fatuità delle sue azioni quotidiane) ha necessità e bisogno (nella sua intima dimensione esistenziale) di appagarsi attraverso il fascino, l’incanto, la meraviglia e la magia, tanto delle idee e tanto delle utopie umane. E non basta. L’individuo ha, oggi, altrettanto, bisogno di appagarsi, attraverso la grazia, la potenza e la seduzione mostrate dall’ambiente e dal paesaggio.
E il pensiero va, in questo caso, a Joseph Beuys: il cui percorso creativo e la cui esperienza artistica, fu costellata dalla volontà, da parte sua, di riuscire a raggiungere, attraverso le sue opere, una sorta di “armonia superiore” posta tra individuo e natura, e riconducibile, addirittura, a un concetto di “ecologia spirituale”. Fu per questa ragione che Joseph Beuys fu definito come uno “sciamano dell’arte”: proteso a raggiungere una perfetta e completa armonia tra se stesso, il resto degli individui e la natura tutta. Con le sue opere egli dimostrò, di fatto, due cose. La prima è che l’individuo è il custode di un’energia in grado di modificare il mondo. E la seconda è che la scoperta individuale rappresenta un potenziale di energia, in grado di trasformare il pianeta.
Non si può non rimarcare, a questo punto, che arte e natura rappresentano i due apici, collegati tra loro, di una stessa realtà che si chiama vita. E se è vero, come affermava Paolo VI nella Populorum progressio, che oggi “il mondo soffre per mancanza di pensiero” è anche vero, come dichiarava André Gide, che “l'opera d'arte è l'esagerazione di un'idea”. Questi due concetti richiamano, altresì, un altro pensiero: quello della “parusia estatica” di Fëdor Dostoevskij, il quale sostenne che “la bellezza salverà il mondo". E questi tre concetti, che sono il pensiero, l’idea e la bellezza (insieme con il “background estetico” richiamato con la descrizione delle opere di Anish Kapoor, di Giuseppe Penone e di Carsten Höller, che sono presenti sul Pollino) rappresentano, di fatto, il file rouge, il filo rosso (il filo conduttore) di un’esperienza artistica che ha portato un gruppo di giovani “talenti creativi” - e i loro insegnanti - a partecipare a un concorso d’idee, attraverso il quale è stato approfondito il rapporto che esiste tra una natura/oggetto (“Natura naturata”) e una natura/soggetto (“Natura naturans”) che ha avuto una delle sue espressioni più auliche nel corso del ‘600, con il pensiero di Baruch Spinoza: il quale sosteneva che tutte le cose sono in Dio e che l’azione del Creato trova la sua trama e il suo ordito nel rapporto che esiste fra la “condizione di libertà” e lo “stato di necessità”.
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