Incline da sempre ad un realismo impeccabile, Luciano Borin non ne ha mai fatto un risultato estetico fine a se stesso riducendolo a mera ritrattistica né indulgendo ad esercizi di iperrealtà. Anzi lo ha nutrito continuamente di declinazioni originali e coraggiose in un arricchimento di contenuto e di forma. Sua cifra si è ben presto rivelata infatti la libertà di piegare la rispondenza al vero ad imprevedibili connessioni con modalità espressive altre, compreso l'informale, riconducendo anche questo ad una suscitazione straordinariamente tridimensionale.
I suoi soggetti sono personaggi colti in momenti di vita, in interni e in esterni, in atteggiamenti si direbbe “naturali” - una coppia in salotto, una ragazza che fa colazione di fronte alla finestra, turisti presi a fotografare monumenti - messi in scena in uno spazio che non è solo elemento di impaginazione ma protagonista anch'esso della narrazione. Spazio scandito da piani che si intersecano e che si sovrappone alle figure in un sapiente gioco di trasparenze e con intromissioni simboliche come recentemente le lettere dell'alfabeto.
Gli stessi valori, compositivi e linguistici, così peculiari della sua pittura, ricorrono nei pastelli che, indubbiamente, per la policromia, acquisiscono sembianze pittoriche, ma lo stesso si può dire dei suoi disegni - tecnica così antica e desueta nella quale eccelle nel sapore contemporaneo - nei quali non si soffre affatto l'assenza del colore.
A chiusura di un testo dedicato a Luciano, scritto alla fine degli anni Novanta, rileggo: “...il tema figurale sublime e prepotente nel suo ammiccamento al vero, si riscatta dalla freddezza di una rappresentazione d'effetto fotografico e si carica di significati più allusivi...”; a distanza di un quindicennio non posso che constatare la coerenza e la continuità dell'artista, seppure sempre “in progress”, e a quel finale aggiungerei soltanto che la sua è una lettura non visionaria bensì critica della realtà e dei suoi stereotipi.
Roberta Fiorini
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