[… Così le sculture di Sasha vogliono esprimere il dramma del venire al mondo, selezionando il materiale inanimato e mettendo in scena il suo risveglio dalla obsolescenza; la materia delle sue sculture in questo modo mima il trapasso dal nulla all’esistenza, e poi dalla infanzia alla consapevolezza, esprimendolo con l’urlo, che è il primo vagito dell’infante, nonché l’urlo dell’uomo razionale di fronte al caos del mondo; le figure di Sasha allora vorrebbero conferire alla materia la possibilità di vivere lo stupore per il mondo, di fronte al quale l’uomo può reagire in due modi: ridendo (esorcizzandolo) o disperandosi per esso: ma le creature di Sasha non conoscono questa alternativa, e il tháuma nei loro volti è sempre tragico: anche in questo sono deficitarie, dimezzate, incomplete: esse sono più della pietra perché sanno vivere il dolore, ma sono ancora qualcosa di meno dell’uomo perchè sanno vivere solo quello.
Le sculture di Sasha dunque rinnovano l’iter forzato, forzoso, dispendioso e non privo di conseguenze che ognuno di noi – uomo o donna, o anche “ermafrodita” – intraprende dalla nascita alla maturità, fino al sentimento della morte (un cammino che Sanguineti a suo tempo definì come quello di un individuo preso a calci nel sedere dalla sua condizione naturale alla condizione culturale, educata alla società e alla gabbia della società stessa), morte che è già vaticinata negli occhi sbarrati di coloro che hanno perso l’innocenza, o che è inutilmente ma vitalmente ostacolata dalle mani imposte, come a voler dire che l’arte e il suo gesto manuale della creazione possono – forse - vincere il tempo. … ]
da “ Il fragile compromesso del funambolo, in equilibrio tra il mondo e la sua coscienza…” di Giovanni Tidona
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