Per il forte rapporto con l’elemento naturale e per il carattere misterioso e silente che contraddistingue il loro lavoro, l’esposizione si propone di creare un suggestivo dialogo con il territorio e con lo spazio della Villa.
L’acqua, fonte di vita e allo stesso tempo origine e veicolo di racconti storici, leggendari e mitologici, viene presentata nei pastelli della Di Lascio come motivo di riflessione sul rapporto della città con tale elemento caratterizzante, in una scoperta continua dell’identità sia personale che collettiva.
Gesso e stoffa sono invece gli elementi costitutivi delle sculture della Sarandrea. Sotto forma di vestali o "corni dell'abbondanza" le sue opere contengono, coprendo o svelando, un sottile rapporto con l’antico.
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Per contro all’accumulo e all’abuso delle immagini in una società sempre più spettacolarizzata, SIMONA DI LASCIO recupera nelle sue opere una dimensione intima dove è presente un labile confine tra visibile e invisibile, tra quello che vediamo e ciò che percepiamo. In un processo continuo di analisi e sintesi la realtà viene colta nella sua immediatezza perdendo così di consistenza formale. Come nella visione impressionista l’acqua insieme alla luce svolgono una funzione fondamentale in tale ridefinizione dell’immagine.
Nell'ultimo ciclo Bagnanti proprio l'acqua ha permesso all’artista di distogliere l'attenzione dai volti della precedente produzione e di evidenziare, attraverso le vibrazioni luminose di tale elemento instabile, l'atmosfera rarefatta e mutevole in cui le figure sono immerse. In quanto fonte di vita e di rigenerazione spirituale, basti pensare al significato che assume nelle diverse religioni, l’acqua costituisce anche il contesto ideale per i suoi protagonisti isolati e raccolti in uno stato meditativo. Lo scenario è dunque si muto ma gremito di cose sottintese.
Nonostante i riferimenti siano colti dalla quotidianità dei gesti e degli atteggiamenti, le sue sono figure eteree e sospese in una dimensione ciclica e rituale del tempo. I volti perdono così le loro caratterizzazioni per essere assorbiti dal flusso della vita. Non si tratta di un una vera e propria negazione del ritratto ma di una sua messa in discussione per una più profonda e silenziosa ricerca.
La matita colorata ed il pastello sono tra i mezzi di espressione prescelti in quanto permettono all’artista un approccio più sensibile e un tramite più diretto tra il pensiero e il gesto della mano. Il suo è un segno che, attraverso un tratto filamentoso, dissolve e sfalda l’immagine in lavori vibranti, delicati e ariosi dove figure e contesto si compenetrano. Tale effetto è poi accentuato dalla scelta di una luce abbagliante con la quale la Di Lascio sovraespone l’immagine facendone perdere ogni definizione. Virgole di colore e di luce eliminano così qualsiasi disegno che tende a delimitare gli oggetti portandone alla superficie il dinamismo interno. La sua è una continua ricerca verso la sintesi della forma che si fa impalpabile energia, soglia tra l’esterno e l’interno.
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Le opere di MONICA SARANDREA sono il frutto di una ricerca interiore fortemente legata alla natura e alla sua dimensione spirituale. La formazione letteraria con la predilezione per la poetica simbolista francese insieme ai viaggi in oriente sono tutte componenti che incidono in modo più o meno evidente nel suo lavoro.
Apparizione/sparizione, presenza/assenza sono i poli concettuali tra i quali oscilla la sua ricerca artistica in un lavoro che pone l’accento su un atteggiamento, quello della protezione e cura, tutto al femminile. I processi che portano alla creazione di tali forme sono così quelli dell’avvolgere e ricoprire, attraverso stoffe imbevute di gesso, forme naturali e misteriose. Si tratta di rievocazioni, inconsce sopravvivenze dell’arte antica quelle che Sarandrea cerca di far riemergere nelle sue opere e contemporaneamente preservare.
L’elemento naturale, quando è visibile nei rami e nelle cortecce che l’artista recupera durante le sue solitarie passeggiate, determina in parte l’esistenza dell’opera. Questa assume così in modo più diretto il carattere fragile, di deterioramento e perdita già connaturato nell’uso del gesso. Ogni elemento della natura diviene, come nelle tradizioni cosiddette pagane impregnate di animismo e nelle filosofie orientali, espressione di quella scintilla divina che permea il creato.
Nella materia informe della stoffa viene invece riscoperto dall’artista il senso di una sacralità ancestrale libera da forme e contenuti determinati e stabili ma che presenta la vita in quanto mistero, in quanto dono che si manifesta nella natura. L’accettazione del mutamento e dell’inevitabile fine, almeno quella visibile e tangibile, vengono in questo modo espresse attraverso il panneggio in cui la piega come piaga divengono allegoria della vita e della morte.
La scelta cromatica del bianco, sinonimo di purezza, è sia un riferimento alla cultura classica in quanto ideale da raggiungere, sia un processo di astrazione fisica e mentale dalla realtà. Le opere assumono così una dimensione atemporale in cui la stoffa si pietrifica e preserva, insieme all’intuizione, anche la variabilità sensibile delle cose. Immediatezza, spontaneità, senso dell’effimero concorrono all’esigenza di recuperare la dimensione umana nelle sue forme naturali.
Nelle ceramiche viene qui presentato l’altro aspetto della sua produzione legato al tema dell’acqua.
Per il carattere di mimesis che la patinatura platino rende con l’ambiente circostante assumono le forme più varie divenendo, come il riflesso dell’acqua, anche il riflesso delle nostre percezioni.
Viviana Quattrini
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