Testi critici, Firenze, 09 January 2015
Come uno di quei diafani insetti
che si muovono sulla superficie
dell'acqua dei fiumi o dei laghi
e che non sai se nuotino,
camminino o volino; così vedo l'artista e l'uomo Gian Mario Conti.
Sì perchè nel suo caso , come nel caso di altri poeti totali,
l'essere artista è ontologico
al suo essere uomo
e le sue opere sono sempre "tranches de vie".
Ogni gesto della sua giornata ,
sia che suoni o dipinga
o faccia colazione, è rituale
e performatico e mai esce
da un orizzonte di sacralità.
Continuamente perciò, la fattualità
cede il passo all'astrazione, la terra su cui
il piede poggia diviene acqua, fluido , talvolta sangue,
talvolta plasma come nelle sue crocifissioni che lasciano
svettare il alto il ramo verticale,
il corpo esile dell'insetto dalle lunghe gambe.
E allora puoi planare a est o
a ovest, non fa differenza; puoi
nascere o morire, pregare
o scopare, bere, mangiare o
mingere e defecare, non fa differenza!
C'è un'arte che il mondo distratto e analfabeta legge come dissacratoria ed
invece è "sacralizzatoria , "innalzatoria", " purificatrice".
Ma questo significa
implacabilità, essenzialità, significa non sprecare parole,
silenzi, colori , ma anche non temere
i passaggi bruschi tra rarefazione e entropia,
tra grido e sussurro ,
tra rumore e suono, tra forma e magma.
Un 'arte , dunque, benevola ,
provocatoria e catartica ,
come una preghiera , come un anatema , come una confessione .

Francesca Della Monica

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