L’opera sarà svelata domenica 22 dicembre alle ore 18 in via Garibaldi 33, Arezzo. Esclusivamente per l’occasione sarà possibile vederla da vicino, circumnavigandola. Infatti, fino al 6 gennaio, Albero resterà al centro della 33, ma visibile solo dall’esterno.
Albero non viene proposto come esempio di originale creazione artistica, ma come veicolo di un messaggio generazionale, un monito a riflettere sulla contemporaneità. Totalmente alieno da qualsivoglia interpretazione religiosa, Albero parla della condizione interiore delle nuove generazioni e delle difficoltà materiali che l’uomo moderno incontra nel tentativo di rapportarsi al suo tempo e all’ambiente in cui opera.
In altri termini non vuole essere un’opera d’arte o costituire qualcosa di nuovo nella sua forma. È una metafora, che si origina da un’esigenza profonda e personale, ma, allo stesso tempo, capace di assumere valenza collettiva. Un “nuovo nato” che, nudo e privo di difese, rimuove il passato e ribalta la sua posizione nel mondo, capovolgendo lo sguardo verso quel suolo che lo ha espulso, per attingere dall’alto l’energia di cui necessita per rinnovarsi. Ha rami proiettati verso il basso, ma non cerca di ancorarsi a terra e non mostra le radici, ma solo il suo scheletro. Esiste, appartiene al presente ed è una prova tangibile di speranza e rinascita.
«Interpelliamo l’albero con le grida e le rivendicazioni di una generazione che non riesce più a comprendere quale sia il verso giusto in cui guardare il mondo, quale sia la prospettiva corretta perché questo acquisti un senso»: questo è il nocciolo del progetto di Luciferi, rispetto al quale l’albero rappresenta una «rilettura postmoderna di un simbolo universale e polisemantico».
Il duo scrive in merito: «l’albero, l’elemento terrestre per eccellenza, viene innestato nella dimensione uranica: l’inversione diventa la cifra di rilettura della contemporaneità, soprattutto nel momento conclusivo del ciclo del tempo che segna la fine, ma che nell’inversione è in realtà un inizio. L’inversione della prospettiva diventa la chiave di volta per comprendere il senso della realtà attuale. Il bianco è il suo colore, contiene tutto lo spettro cromatico e, come il nero, simboleggia un confine, quello iniziale della vita. L’essenzialità delle forme concretizza l’approccio ermeneutico della decodifica del mondo». È dunque l’albero dell’inizio, della vita.
Questa entità, orfana del proprio apparato radicale, cerca nuova linfa nella dimensione celeste, nell'ignoto, in un luogo insondato, fuori dalle coordinate spazio temporali della realtà data. Si rigenera volgendo i rami alla terra che l’ha dapprima generata e poi ripudiata, e rispetto alla quale prova un sentimento dolente d'inappartenenza. L’opera non nasce dalla contemplazione di una dimensione fenomenica, ma da un’emergenza interiore, dal bisogno di riflettere sul sé, scatenando quesiti. Essa muove dall'urgenza di penetrare la realtà del nostro tempo, attraverso l'interrogazione della coscienza e lo scavo in profondità nell'interiorità umana.
In linea con il messaggio dell’opera proposta, come cocktail d’inaugurazione sarà offerto un pasto povero ed essenziale: pane e acqua.
L’iniziativa è in collaborazione con lo studio di sperimentazione fotografica Luciferi Visionibus, che propone, fino al 6 gennaio, nella sua sede in via de Redi 15 ad Arezzo, l’esito di un progetto, opera di un collettivo di sei fotografi, dedicato al medesimo tema, l’albero. Una mostra, quest’ultima, in cui passato e presente convivono: la cianotipia, antica tecnica di stampa fotografica, reinterpreta e affianca forme e mezzi della contemporaneità.
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