Brescia, Galleria ab/arte,Vicolo San Nicola, 6
C’è da restare impressionati davanti alle opere di Giuseppe William Vezzoli, forse per quell’impronta pittorica che fa pensare a una lunga storia di convivenza con l’arte tra serene acquiescenze e furiose battaglie consumate nella lotta per la ricerca di una forma pura nel superare la stessa pittura e nella testimonianza da lasciare al tangibile il coronamento del colorismo. Questo è quanto vediamo nella sua arte, e c’è di che viverne gli aspetti, nel sondare l’individuale per giungere al collettivo che lo pone tra i grandi artisti italiani nel definire il confine tra l’arte e il quotidiano con i suoi oggetti soggetti.
La prima personale è del 1979 e i suoi dipinti in questi anni sono essenzialmente frutto di uno scandaglio legato alla pittura “en plein air” in un apprendistato fra tradizione e sintesi tra classicità e modernità. Dalla metà degli anni Ottanta inizia l’esperienza in premi di pittura estemporanea e in vari concorsi, interrompendone però la partecipazione, nonostante fosse risultato primo classificato in oltre trenta manifestazioni artistiche.
Nel 1995 una forte crescita creativa alla definizione di uno stile personale che lo porterà a esplorare il raccordo con una moderna tessitura nell’alveo di artisti capaci d’innovazione, e va oltre nell’aggiungere progettualità e atmosfere modellate di quadri che non hanno la tela e tele che non hanno la pittura. Sarà l’avvicinamento a uno dei suoi temi, spazio-tempo, a specificare il suo processo di mediazione con l’arte, insieme a quello dei “viaggianti”. Sarà un leitmotiv a generare il visibile dell’invisibile nel filtro del silenzio che parla nell’ultimo passo del suo itinerario creativo che sta in quel gesto dada che innalza l’objet trouvé a opera d’arte. Infatti, del 2000, la scelta di continuare il proprio cammino usando l’accumulo dell’esperienza acquisita, nei luoghi e nella trepidazione per un “come” dipingere uno stato d’animo turbato dal “che fare” nell’attuale società dell’incertezza. Questo è il suo assunto che preserva il reale per abbandonarsi a una sorta di concettuale memoria che saccheggia nello stupore di un richiamo all’infanzia oppure nel gioco di assonanze e consonanze come ricordi da raccontare.
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