“spina asutt'e ludu”, detto popolare, è una metafora: la rappresentazione attraverso l'utilizzo di elementi della natura ai quali si attribuisce una connotazione inconfutabile.
Trovare ed esprimere nel particolare l'universale; carpire, dunque, da elementi semplici, naturali, quotidiani, principi di vita comuni ad ogni essere.
La spina e' elemento ostile in natura, nella vita e in queste opere; il fango ha un'ulteriore accezione negativa: quella di una stagnante ed opaca staticità. La terra è materia, la materia è, più che vita, forma, la forma, attraverso l'esperienza è vita, la vita in questo caso è arte. L'arte, attraverso la sabbia, il fango, le spine, è ancora terra: terra vivente.
Nel nuovo progetto di RM e' racchiuso e, nel contempo, è evidenziato questo stesso concetto. L'arte parla, punge, racconta senza avere la pretesa di insegnare ma concedendo una chiave di lettura empaticamente alternativa.
Il principio di elaborazione e' lo stesso: utilizzare ciò' che e' sempre sotto i nostri occhi, attribuirgli un valore, non solo etico ma principalmente estetico e lavorarlo attraverso la propria sensibilità' per restituirlo sotto una nuova forma che sia liberamente interpretabile.
In queste opere né tradizione né radici, ma un universo che parte dalla terra nell'utilizzo di crete, sabbie e argille e, in questi elementi, trova forma un percorso che elabora un patrimonio comune e lo rende segno percettibile a tutti.
In alcune opere il concetto è palese: le spine sono contrapposte e parrebbe scorgervi l'immagine di una bocca con denti acuminati; una bocca che non può' che far male sia quando parla che quando è chiusa in un silenzio omertoso. In altre, la staticità della posizione delle spine, fa pensare all'annullamento del maleficio; i colori sono in movimento, sfumano in senso ascensionale come in un miglioramento, un progredire verso un livello superiore.
Nelle opere, dall'intelligibilità immediata, la materia si fa prigione del desiderio ed il materico mantiene la sua ruvida bellezza ma concede spazi al vuoto liscio, burrascoso nei cromatismi che lascia intravvedere un cambiamento virale.
Percorsi a volte tortuosi a volte ordinati, figure a volte antropomorfe a volte manufatti, tutti volti a palesarci una possibilità. In primo piano un inquietante mostro sovraccarico di aculei: un male che rende inermi le secondarie impronte di vita, in una sorta di Hiroshima tribale.
Il segno rimane e le ferite non dolgono anzi brillano, perchè sono memoria e ricordo in cui tutti gli elementi sono chiari, artisticamente cristallizzati e non elaborati da un'epopea narcisistica volta a mal celare gli errori commessi. La durezza è stata domata e del dolore restano i segni chiusi in una ordinata successione.
Ciò che rimane di popolare nelle opere di RM è la semplicità, non tanto del segno o del percorso estetico, quanto quella del saper attribuire il giusto valore agli elementi, per renderli fruibili, senza strutture discriminanti come in un detto popolare che raccontandoci ci lascia stupefatti .
Marco Marini
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