Mostre, Milano, 05 February 2015
La personale di Roberto Goldoni (1973) prende il titolo da un racconto di Borges contenuto nell’Aleph. La riflessione sul potere di un pensiero che diventa ossessione. “Secondo la dottrina idealista, i verbi ‘vivere’ e ‘sognare’ sono rigorosamente sinonimi; se di migliaia di apparenze, ne rimarrà una, da un sogno molto complesso, si arriverà a uno molto semplice…..Quando tutti gli uomini della terra penseranno, giorno e notte, allo Zahir, quale sarà il sogno e quale la realtà, la terra o lo Zahir?”
Le opere di Goldoni sembrano accumulare in piani differenti, sovrapposti, affiancati, gli esiti della nostra percezione di ciò che ci circonda (a maggior ragione nei casi in cui Goldoni dipinge dal vero, con un gesto classico, in cui riflessi, situazioni contingenti della luce, delle ombre, delle forme vanno ad aggiungersi all’opera in costruzione). La sovrapposizione di percezioni, diventa concreta, trasformata direttamente in colore, in righe, in forme … in realtà?
Quando abbiamo osservato per la prima volta l’opera "24 Righe Rosso" (2014) abbiamo avuto la sensazione di osservare un paesaggio quotidiano, ma con qualcosa di non immediatamente definibile, come fosse imperfetto. La sensazione di un luogo ove si è certi di esser stati, ma senza ricordare se in realtà o in sogno. Una realtà che contiene una imperfezione, tale da farci dubitare sulla sua “effettiva” esistenza: è lo spaesamento, in termini cinematografici, dei luoghi fisicamente impossibili (ad oggi) ma forse possibili, del Nolan di Inception e Interstellar o dei piani e stratificazioni di Memento. Il suggerimento è allargare le palpebre, farsi accecare, con un unico sguardo, dall’opera di Goldoni, ingoiarne l’immagine tutta insieme e scendere, tra le vertigini, attratti da una dimensione differente: "...chi ha visto lo Zahir presto vedrà la rosa (...), lo Zahir è l'ombra della rosa."

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