Simona lavora nello stesso modo: Il corpo è anche memoria. Nelle pieghe e nelle piaghe, nella raccolta di gravità, che lo modifica, il corpo scrive su stesso le storie cui ha partecipato.
Il corpo di Simona, è anche un corpo collettivo che ogni giorno sostiene ruoli che sono universali: Ofelia è un abbandonarsi (ma nella vasca del bagno, senza più forze per rialzarsi, per affrontare la quotidianità).
Penelope è sezionata dentro cubi di acciaio, parti di corpo che sostengono lo sforzo di tessere e di disfare, all’infinito, un eterno lavoro, senza alcuna possibilità o aspettativa di gratifica.
E’ un corpo che, anche, subisce distorsioni, sezioni, ci rammenta altre situazioni, purtroppo anche queste universali, del ruolo subito dalla donna.
E poi il corpo, prima solitario, si arrende, finalmente, alla vita e si alleggerisce aggiungendo a se stesso altri corpi, figli, partner, quindi altre memorie presenti, ma che saranno col tempo future e poi passate.
E’ un arte totale quella di Simona, che si infonde e diffonde di vita. Nelle installazioni, come nei quadri, nei cuscini e nei poster, il corpo è la superficie di lavoro, su cui lo scorrere agisce. Il suo mondo è un INTERNO CON VISTA, privilegiata, verso l’esterno...o magari il suo contrario, per noi che lo osserviamo.
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