Dodici artisti da presentare nell'arco di un anno con 12 lavori ciascuno. Alla fine dell'anno sarà pubblicato un catalogo edito dalla Salarchi Immagini, nel segno degli (astri) artisti prescelti, con 144 opere: esso costituirà ciclicamente per dodici anni il corpo ideale di una sinestesia simbolica da deporre nella collana editoriale “Sul segno degli artisti” in dodici volumi, per un ammontare cabalistico di 1728 opere d'arte esposte, prodotte da 144 artisti.
Domenica 5 maggio 2013, alle ore 20, organizzata da Archinet e dalla Fondazione degli Archi, presso la Sala Mostre della Fondazione Gesualdo Bufalino è la volta, per il ciclo degli autori del Toro, dell'artista Valeria Cademartori. Il diciannovesimo appuntamento della rassegna “Sul segno degli artisti” è dedicato ad una pittrice italiana emergente che si è manifestata « in controtendenza con il gusto corrente, per affermare – come sottolinea recentemente Duccio Trombadore – la dignità della pittura ‘che vede’: vale a dire una pittura che registra, documenta con passione i dati della vita quotidiana senza inserire orpelli letterari, senza allusività metaforiche, con la onesta ambizione di raccontare e nulla più». Nata a Roma il 5 maggio del 1970, Valeria Cademartori, con questa mostra alla Galleria degli Archi (dove espone dodici opere in parte inquadrate sulla materia del corpo umano, sulla densità grumosa di una porzione di esso, raccontata tra la vista e la visione e nella lingua altrettanto materica della pittura) segue, nella cabala di questa rassegna e per pura coincidenza, la mostra di Piero Guccione, anche lui nato nello stesso giorno, il 5 maggio 1935, ed entrambi presenti alla Galleria Il Gabbiano di Roma. Casualità intrinseca forse per permetterci di festeggiare due generazioni a confronto!
Dal testo di Duccio Trombadori
IL RACCONTO DELLA REALTÀ
di Duccio Trombadori
Prima di tutto, conosco Valeria Cademartori da un bel po’ di tempo, cioè da quando assieme ad altri giovanetti amici iniziò ad operare a Roma in controtendenza con il gusto corrente, per affermare la dignità della pittura ‘che vede’: vale a dire una pittura che registra, documenta con passione i dati della vita quotidiana senza inserire orpelli letterari, senza allusività metaforiche, con la onesta ambizione di raccontare e nulla più.
Nel ‘racconto’ di Valeria c’era prima di tutto Roma, la sua atmosfera di periferia, ma vi si rifletteva anche lo sguardo girovago e giovane del tempo nostro in cerca di identità, nella foresta simbolica dell’ ordito urbano… Era già una bella prova di coraggio e generosità partire da una scelta di affiliazione alla pittura di stampo real-verista nel tempo in cui questa restava relegata ai margini delle convenzioni più gettonate, dal vezzo postmodernista alle convenzioni disparate dei nipotini d’avanguardia (con la “moda Duchamp” e tutto il resto…).
In questa atmosfera di possibili ispirazioni la Cademartori non era sola. Con lei si esprimevano diversi giovani pittori, tra questi Bernardo Siciliano, più verista, più compositore di dettagli, più scenografico. Nella sua espressione prevaleva invece il particolare isolato e ingrandito come in un laboratorio fotografico (uomini e donne nel metrò, o pure altri dettagli) dove però una pittura pastosa e distribuita per sicure sciabolate di colore ricordava il piglio disegnativo e modellante, da ‘sbaglio generoso’ un po’ alla Guttuso, tanto per dire di un esempio…
Mi piaceva quella sincerità, quel gusto deciso e un po’ sfrontato di esibire anche poco, ma di esibire quel poco con umana partecipazione…Ci sentivo la eco di una lezione sedimentata tra le mura della città: Ziveri, Omiccioli, Mafai, Vespignani, Attardi, Muccini, Quattrucci ed altri intensi, sofferti narratori della Roma del nostro lungo dopoguerra…
Poi mi piaceva il disegno eseguito con acquisito mestiere, mai approssimativo, tutto mirato ad individuare un punto focale su cui centrare compatta l’immagine…carboncino, grafite, il tutto ben diretto a riprodurre la medesima sensazione di porosità della carta che resiste al tratto ben segnato con risultati di netto contrasto luminoso, ad accendere sporgenze di uno zigomo, il ritaglio di un profilo, come per il volto di Pier Paolo Pasolini, il poeta di Roma e di ‘tutte le Casiline del mondo’ che Valeria mirabilmente ha riprodotto ad incidere un carattere, un’ erma volitiva e contratta in se stessa…
Valeria disegna con sicurezza. Ma è anche una valida pittrice. Ha una mano decisa che figura atmosfere e ritaglia segmenti di vita vissuta in presa diretta. E’ una osservatrice dall’ interno dei soggetti che impressionano il suo sguardo. Entra dentro le cose, le persone, gli ambienti con fare intrusivo ed ispettivo. L’ispezione è un po’ il principio ispirativo di tanti suoi dipinti. Imitare, ritrarre, ispezionare il visibile per conoscerlo, impadronirsene, e catturare il segreto o meglio, diceva il poeta Eugenio Montale, ‘…il filo da disbrogliare che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità…’.
Così vediamo arredi urbani che sovrastano la misura umana, parentesi consuete di scorrevoli circostanze metropolitane, luci radenti le pareti cementizie o gli infissi metallici a strutture di sostegno, o pure i volti serialmente suddivisi dallo schermo girevole del metrò, scanditi da espressioni fugaci e pure prensili come fantasmi fissati per un attimo nel loro eterno svanire.
La Cademartori si getta su ciò che vede e ne ricava un succo particolare che, posto sulla superficie dipinta, rispecchia di più il ‘senso’ profondo della superficie. Tutto lo spettacolo ritratto dalla pittrice è degno di esistere, e di essere vissuto. Il suo perseguito ‘realismo’ altro non è che l’espressione di un amore per l’istante di vita rappreso in figura.
Fa piacere riconoscere come il linguaggio della Cademartori risenta anche del precedente illustre di un suo maestro, il pittore Gianluigi Mattia, artista così vicino al ‘realismo esistenziale’ e pure titolare di ricercate eleganze così come di una toccante ed originale espressività visionaria.
Questa capacità di far vibrare la materia pittorica esaltandone le possibilità rappresentative è un dono di spontaneità che Valeria riesce a rendere evidente in quasi tutte le sue figurazioni. A volte il suo sguardo si sbilancia come un teleobbiettivo ravvicinato sull’oggetto prescelto: e la passione documentaria intercetta la tessitura delle materie filtrate da luminosità più o meno accese che esaltano volumi, ingigantiscono proporzioni, restituiscono la sensazione di una tumultuosa e convulsa vitalità.
Anche una mano, sorpresa da un veloce scatto ravvicinato, può assumere la consistenza ‘tattile’ della plastica scultorea, e la pittura che si sfalda al vibrare della luce riacquista una sua particolare solidità, con l’effetto supplementare dell’estasi ben tornita…Prova e riprova, Valeria, e si ostina nel suo dipingere come in una illustre gara contro il tempo ed elenca il campionario delle ‘cose viste’ filtrandole con la lente dello sguardo. Ma in questo cimento estetico pare che l’esito della composizione abbia soltanto in parte esaudito il desiderio di ‘catturare’ il visibile…
Così questo scenario di turbolenze metropolitane (i viadotti intuiti, le sopraelevate viste nel bagliore di un fanale rifrangente, corpi distesi su giacigli provvisori, profili colti in eccentriche pause esistenziali dentro l’incedere dei fragori e rumori) ci offre uno spettacolo assai meno ‘letterario’ di quel che si potrebbe immaginare…
In questa galoppata figurativa l’autrice immette un tasso di autentica adesione agli oggetti dai quali è attirata. La cura della materia pittorica, stesa con energia, determina un modellato che rende sulla tela l’effetto del fotogramma: siamo di fronte ad una sequenza di scatti a ripetizione, e di fortunate istantanee che hanno la consistenza formale dell’immagine…
Così accade come se Valeria istituisse il privilegio disparato del collage e popolasse lo spazio di figure ravvicinate che imprimono il sentimento dell’ insieme visivo, del ‘con-essere’, di un mondo percepito nello stesso momento in cui si raffigura grazie al tratto della mano che dipinge.
Se l’elemento della inquietudine indagatrice è il principale risultato della ‘passione esecutiva’, nel repertorio messo in figura dalla Cademartori si può annotare anche la singolare qualità di una ‘luce trattenuta’ sulle cose viste e dipinte, una luce messa in relazione alla velocità dello sguardo, alla drammatica inquadratura della forma…Tanta vitalità si spende nel ‘lungo racconto’ di Valeria e ne precisa il tiro dello sguardo e qualificando il suo stile come ‘Penelope del pennello’ che tesse una tela visiva senza fine, nella continua ricerca di esprimere con le immagini l’eterno ’dramma della realtà’.
Biografia
Valeria Cademartori nasce nel 1970 a Roma.
Dopo la maturità classica intraprende la Facoltà di Filosofia all'Università "La Sapienza" di Roma, seguendo i corsi di Estetica di Emilio Garroni e di Pietro Montani. Contemporaneamente frequenta il corso d'illustrazione all'Istituto Europeo di Design dove ha come insegnante Dariush. Nel settembre del 1991 frequenta un corso breve all'Ecole des Beaux- Arts di Parigi.
Dal 1992 al 1995 studia pittura con il pittore Gianluigi Mattia.
Nel 1997, con la sua prima collettiva alla Galleria Il Gabbiano di Roma , inizia una collaborazione che produrrà varie mostre personali presentate di volta in volta da Duccio Trombadori, Emilio Garroni, Alessandro Riva, Marco Di Capua. Nel 2004 vince il premio "Città di Monaco" al XXXVI Prix International d'Art Contemporain de Monte-Carlo. Nel 2011 partecipa alla Biennale di Venezia, Padiglione Lazio, a Palazzo Venezia a Roma.
Dal 2005 vive e lavora tra Berlino e Roma.
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