OTTO ARTISTI, a cura di Marcello Francolini
Mostre, Salerno, 05 April 2014
8 artisti in mostra è un piccolo plotone arruolato a cento anni dalla Grande Guerra. Dopo un secolo, l’arte e gli artisti devono farsi carico di questa memoria storica.
Nel caso, però, specifico dell’Evento non ci interessa la retorica dell’argomento, quanto più il poter ragionare, sull’immaginario odierno, sull’inconscio collettivo lasciando liberi gli astanti di riflettere sui possibili ricorsi di quel fatale 1914, oggi, nel 2014.
Questi otto artisti sono qui riuniti a rappresentare una “mediazione possibile” tra la storia e la vita, tra la memoria e la percezione, tentando così di stabilire un “continuum”. Lo stesso numero 8 è quest’infinito, che mai inizia e finisce: l’arte che è un perpetuo, tra l’essere e il suo intorno. E l’8 è anche la vittoria.

In un momento storico come quello odierno dove l'economia ha spodestato la politica, subiamo una ipermonetarizzazione dei valori in tutti gli aspetti della società. Il volto attuale del Capitalismo è la “crisi perpetua” che genera reazioni di nazionalismo esasperato, nativismo, ricerca fanatica della società perfetta. In questo quadro, la recente questione della Crimea fa vacillare la tenuta stessa
dell’Europa.

Detto questo, il sottoscritto e gli 8 artisti sono convinti che non è con le labili barriere d’una presunta scientificità o d’una presunta logicità degli eventi o dei giudizi, che l’uomo potrà difendersi dall’assalto dell’irrazionale, dell’onirico, dell’inconscio; anzi è accettando la condizione di instabilità e indeterminatezza che potrà farsi strada una concezione del mondo che attinga maggiore forza e maggiore chiarezza proprio dalla constatazione del potere di “un pensiero per immagini”. La volontà che è a valle di queste operazioni artistiche è il recupero dell’immaginario, inteso come diverso atteggiamento interpretativo del nostro Dasein, del nostro in der Welt sein, che si contrapponga alle frigide categorie d’una “dittatura della ragione”. Con “8 artisti in mostra”, sostituiamo una forma di pensiero astrattamente concettuale con una forma sensitivamente immaginifica:
Pio Peruzzini stimola l’inconscio percettivo, indagando nella morfologia segnica dell’apparenza organica; trasformando le doline del Carso in un occhio vigile. Ponendovici innanzi si aprono sguardi siderali.
La radura di Antonella Pagnotta è un luogo dei sensi che odora, che gusta, che ascolta, che tocca; dove la disfunzione prospettica crea un fuori-luogo, dove la materia si intrinseca e s’illumina, e, modificata dal tempo e dallo spazio è costretta a ritornare all’inizio del tutto: il corpo.
Per Vittorio Pannone la memoria è un’attività continuamente riformulabile, un pre-giudizio apparentemente inciso su marmo, è in realtà una scritta su cartone. Effimero. Una croce, una grande guerra sta lì come puro segno destinato a decomporsi riaprendo la possibilità del “ritorno”.
Pasquale Napolitano ricostruisce una conflagrazione di pixel in un dirupo virtuale, in cui la bellezza tecnologica ammalia le retine anestetizzando l’attenzione verso la morte. Morte del corpo come conseguenza dell'asservimento totale alla visualità che escludendo gli altri sensi ci rende dimentichi della vera essenza dell'uomo.
Per Dario di Sessa la questione tocca l’osservabilità; il reale è qui spogliato di qualsiasi sovra-pensiero costringendo gli astanti a un’austerità che non inaridisce, ma trascende, dal fugace, dall’inaspettato, dal quotidiano.
Per Lucio Afeltra, sono segni indecifrabili giacché avvertono la paura -dell’artista o dell’astante?- di perdere il senso del mondo, smarrendo via via il significato a discapito del significante, della forma senza contenuto, di una società senza alcun termine di rappresentabilità linguistica. Untitled!
Antonella Gorga si presenta con un’immagine della sussistenza, dove l’esempio viene determinato da un ritorno alla semplicità che proprio per questo diventa antica; l’azione è solo un sostrato della realtà ritornando così ad essere parte sostanziale di una verità non più estranea al mondo.
Angelo Marra ci riporta anche lui in una realtà del segno che non sembra più appartenere al presente; la sua visione della tragedia si estrania dall’emotivo, riappropriandosi invece di un tratto quasi infantile che lascia perplesso chi, ignaro, si ponga difronte senza liberarsi dalle sue certezze.
Abbiamo detto già della numerologia dell’8: la vittoria, non sarà quella di schierarsi da un campo o dall’altro, questo appartiene alla storiografia, ma bensì di partecipare a quell’esser-ci, che è la distanza stessa tra il qui, questa mostra, questi artisti, queste opere e il lì di quei cannoni, di quegli eroi, di quei morti.

Marcello Francolini, Critico d'arte

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