La sua visione pittorica è appunto quasi fiabesca e mitica e, riproponendo in ogni lavoro lo stesso tipo di dinamica e di capovolgimento delle dimensioni, crea una vera e propria cosmogonia fantastica, un corpus di leggende strutturato in modo epico, dove l'avventura che fa da trama è un riscatto della natura sull'elemento artificiale. Le piante crescono sul cemento e negli edifici, un petalo di un fiore può essere grande come una barca, della frutta può crescere su una tettoia e dei vasi - simbolo dei manufatti - sono rotti e resi inutili.
Si tratta di un fenomeno comunque benevolo, quasi una nuova rinascita del mondo, in cui l'essere umano non ha un vero e proprio ruolo, ma resta a guardare in un primo momento stupito e dopo ammirato. Di fatto è una favola a lieto fine. Il risbocciare di una natura così maestosa rende l'essere umano come un bambino che riscopre la voglia di giocare e che festeggia dando un proprio apporto gioioso con palloncini, festoni, giocattoli, creando una vera e propria “festa di primavera” o “compleanno della natura” come molte culture non occidentali in effetti hanno, personificando nelle loro leggende gli elementi naturali e celebrandoli o adorandoli in religioni in cui la spiritualità è strettamente connessa alla terra e ai suoi frutti.
Quella di Antonio Calabrese è assimilabile a questo tipo di concezione istintiva dell'uomo, che di fatto esiste non solo in molti culti, ma anche in molti esempi di letteratura epica, da quella Omerica a quella Tolkinieniana. In questi e in altri casi, come in tutto l'immaginario fantasy e nel corpus di miti di molti popoli, non è raro che la natura venga personificata e animata in personaggi che hanno una saggezza e una forza interiore superiore all'uomo.
Valentina Perissi
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