Testo critico di Anna Di Matteo.
Rosa Dragonetti non si definisce artista. La sua prima mostra personale si svolge al Caffè Letterario di Roma e si intitola Arte?!
Il titolo indaga provocatoriamente il concetto di arte oggigiorno. Che cosa è arte? Un bel disegno da appendere al muro? Qualcosa che si impara e poi si restituisce? O forse qualcosa che non ha nemmeno la pretesa di essere chiamata Arte, qualcosa che non è tanto imparato, ma assimilato nel tempo, attraverso le visioni di una persona che fa esperienze, guarda il mondo con occhi vivi, attivi, recettivi, incamera, trova ispirazioni, e vede, vede e ancora vede, vede tanto e riflette tanto, e poi manifesta il proprio individuale atto creativo, lo offre agli altri con umiltà, sperando che possano questi trovare una via di fuga dal ristagno di un sistema che ha offuscato la capacità di vedere davvero e ha plasmato gli occhi così che molto spesso non possano andare oltre a ciò che vedono. Rosa dice che “ l’arte è un atto politico” e io dico che è quanto mai vero; ogni artista sceglie cosa vuole fare, cosa vuole dire, ma forse se non si ha nulla da dire “meglio lasciare una tela bianca” come dice Rosa. Parlare con Rosa è quasi commovente, si respira la sua forza interiore, ti entra dentro, ti apre l’anima. L’ironia dei suoi lavori è dirompente e travolgente, un po’come la sua personalità. Grande fonte di ispirazione sono stati i Graffiti, l’arte di strada, vista in giro per il mondo, un mondo visivo che Rosa ha fatto proprio, e che è sempre presente quando lavora sulle tele dalla superficie un po’ sporca, che ricordi un muro scrostato, sulle quali l’artista ama lavorare, dipingere tracce, segni, proprio come a volte si fa quando si scrive sulla parete di un vecchio muro. Di fondamentale importanza infatti nel lavoro di Rosa, la parola. Spesso nei suoi lavori l’artista inserisce frasi, parole: “ Parla con gli artisti”, “ in questo quadro non succede niente”, o pensieri davvero profondi sul proprio modo di vedere l’arte, ma anche frammenti di diari di quelli che sono per l’artista, grandi miti ispirativi a cui guarda con una profonda, commovente, ispirazione, come Keith Haring o Jackson Pollock ad esempio. E’ incredibile la forza e l’impatto diretto con cui queste parole dialogano con la tela stessa e con chi osserva. E’ il recupero di un linguaggio, il linguaggio umano che secondo Rosa si sta in qualche modo perdendo, lei cerca di riesumarlo attraverso la propria creatività con umiltà e ironia.
L’artista ha infatti creato un personaggio, che la rappresenta, e lo ha chiamato Hey! Quando le ho chiesto come mai non si fosse rappresentata al femminile, mi ha risposto che voleva creare un personaggio asessuato, forse un po’ un individuo universale, che si allontana da quel modello femminile imposto dalla società attuale, dal quale Rosa vuole consapevolmente discostarsi, prendere le distanze. Hey è un personaggio simpatico, informale, ironico, che si rivolge allo spettatore e richiama la sua attenzione con giocosa disinvoltura, ma lo invita anche a riflettere su tematiche sociali, politiche, come l’omosessualità o l’ assuefazione del linguaggio dovuta alle politiche di un sistema opprimente che ci limita, che ci vorrebbe tutti incapaci di pensare, di agire. Beh…forse gli artisti, almeno alcuni di loro, sono quelli che dicono no a tutto questo, rischiando di non essere capiti dalla massa. Ma infondo non credo che in questo caso, la maggiore preoccupazione sia quella di essere accettati, per chi, con sincera umiltà, vuole fare qualcosa, vuole dire qualcosa. Si tratta appunto di un atto, un atto di fiducia nell’arte, una presa di consapevolezza nel potere intrinseco al suo linguaggio e in chi avrà voglia di fermarsi un attimo a riflettere, ma anche a sorridere e tornare ad emozionarsi.
Anna Di Matteo.
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