ICONE, TROFEI E RELIQUIE – OPERA PLURIMA (1993-2012)
Fiere, Padova, 08 November 2012
Nell’ambito della sezione dedicata all’arte accessibile di ArtePadova, Filippo Zampiron ha presentato ICONE, TROFEI E RELIQUIE – OPERA PLURIMA, un’opera compiuta in più opere, un lungo racconto artistico che si dipana nel corso di più di un decennio lungo i classici motivi tematici del Vecchio e del Nuovo Testamento.

A dare inizio alla serie sono nel 1993/1994 Le canottiere, le camicie e le mutande ingessate, e soprattutto i libri (L'ora di religione) a cui hanno fatto seguito Le tentazioni di Sant’Antonio Abate, Gerolamo e Pietro (Santi) Shirt, Giorgio e Sebastiano (Santi) Vest, L’ora di religione, The main story, le persecuzioni religiose e per finire L’albero dei buoni frutti, in contrappunto a L’albero dei cattivi frutti e con due appendici Il libro dei buoni frutti e Il libro dei cattivi frutti. Tutte opere, queste, presentate in fiera.

Il sacro viene così rivisitato da Filippo Zampiron in una chiave espressiva del tutto contemporanea, tanto che la sua opera si propone come plurima non solo perché distribuita in più lavori ma anche perché aperta e pervasa da suggestioni e ispirazioni mutuate da più forme artistiche: il cinema, il teatro, la letteratura, l’arte applicata e il fumetto entrano e interagiscono nei suoi lavori, in virtù non della loro forza tecnica bensì del loro potere evocativo. Il risultato è una commistione di richiami a diversi linguaggi espressivi dalla forte connotazione concettuale, come se la pittura diventasse scrittura, ora per mettere in scena ora per rappresentare ora per narrare.
Il racconto non è più lineare come in War Cycles: opera in three acts, ciclo del 2011 presentato a Vernice Art Fair (Fiera di Forlì), dove si prendeva a prestito la struttura operistica e drammaturgica ad atti per descrivere quasi didatticamente i rapporti causa ed effetto all’origine dell’attuale conflitto sociale ed economico.

Di fronte a ICONE, TROFEI E RELIQUIE, la lettura si fa invece inevitabilmente attenta e curiosa: chi guarda è infatti sollecitato a toccare, ad aprire, a scoprire. Come in un gioco di matrioske, una dentro l’altra, le opere si nascondono e, al tempo stesso richiedono, per essere decodificate, di essere svelate.
Come in una sorta di mise en abîme, l’arte di Filippo Zampiron s’inabissa in se stessa, nell’attesa di riemergere nella sua compiutezza negli occhi di chi guarda, davvero.

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