di Cesare Manfredi, scrittore, sceneggiatore.
Fiorella Fiore è un’artista introspettiva. Ma la sua introspezione è un’introspezione centrifuga, ovvero la sua è un’arte che indaga nel profondo dello spirito dell’uomo per confezionare un’idea, ovvero una visione del mondo. Si potrebbe per questo definirla un’artista filosofica nel senso che le sue opere ci svelano la condizione dell’uomo nel suo “stare al mondo”. Il materiale grezzo, massa scarnificata dell’esistenza, nelle sue mani diviene entità antimaterica, sostanza fisica de-umanizzata perché istantanea non più dell’uomo ma della sua spiritualità corporizzata e gettata nel mondo delle cose, degli oggetti grezzi, quasi rifiuto tra i rifiuti dell’esistenza. Ne discende artisticamente una visione cupa dell’uomo, quasi catastrofica nel suo divenire sempre se stesso, esattamente come gli oggetti rappresentati nei quadri. Quello raccontato da Fiore è un uomo costretto dall’elemento sensibile, atterrato dalla sua atavica mancanza di ali, sempre poeticamente agognate. Nella sua opera “Quibi se facta Juretionis” questo dato sembra imporsi in modo eclatante. Il sottofondo mosso, quasi con sofferenza scavato (l’animo umano) è sovrastato da catene, come vincoli ontologici che si richiudono ineluttabilmente sull’avvenire umano. La profezia artistica è quindi quella antistorica, ovvero quella dell’essere umano privo di avvenire è senza sviluppo spirituale, ancorato alla “terra”, bloccato dal dover sopravvivere e alla “rugosa realtà da stringere ” di rimbaldiana memoria. Un uomo quindi, per tornare alla visione filosofica, assolutamente antihegeliano, ovvero privo di una spiritualità dinamica in continua ascesa verso l’armonia assoluta, punto finale conclusivo della storia dell’uomo. Anche nelle opere “Legami fuori 1-2” affiora sensitivamente tale lettura. Il sottofondo agitato, burrascoso, spirito in lotta contro se stesso, come un mare in burrasca privo di futuro, è stretto, oserei quasi dire “sprangato”, da queste strisce verticali (corde, reti) che sbarrano, che chiudono una visione ulteriore, oltre il tempestoso ricercare una soluzione di vita che in verità non esiste. Le corde poste in posizione anteriore, richiudono, contengono, delimitano, l’urlo dell’uomo, soffocando, oltre che impedendo, la fuga, la sua richiesta d’aiuto. In definitiva Fiore è un artista concettuale che affida all’essenzialità dei materiali utilizzati e alla manualità della sua azione artistica la forza del suo messaggio profetico. Catene, chiodi, nastri adesivi e corde sono elementi corporei con una chiara individuazione semantica, soprattutto quando questi vengono organizzati, direi quasi “incarnati” in un substrato quasi sempre fluido, fluttuante, dall'aspetto semiliquido e indefinibile. Se questo substrato indefinibile è lo spirito dell’uomo, la sua anima dolorosamente cosciente e alla continua ed evanescente ricerca di infinito, gli elementi tormentosamente incarnati in questo sub strato rappresentato la negazione della sua catarsi, vividi elementi di una lettura escatologica, ricca di affascinante pessimismo.
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