Aleksei Duplyakov destruttura il concetto di riflessione in diversi piani, partendo da un’indagine su cosa sia l’esercizio della visione e come viene percepito dall’essere umano. Quando la radiazione luminosa colpisce un oggetto, una parte viene assorbita, una viene trasmessa e una viene riflessa. Un campo riflette lunghezze d’onda che il nostro cervello interpreta come verdi. Questo breve inciso serve a valutare quanto la nostra capacità di vedere sia fondamentalmente una limitata percezione della luce riflessa. Studi e ragionamenti certo già noti prima della nascita della fotografia a metà 1800 ma che diventano argomenti inevitabili quando si parla di visione e restituzione di un’immagine attraverso una lente.
Di maggior interesse critico è il coinvolgimento percettivo che la visione delle immagini desta nel fruitore. Le fotografie esposte ricordano il Test di Rorschach, un noto test psicologico proiettivo utilizzato per l'indagine della personalità. In particolare, esso fornisce dati utili per quanto riguarda il funzionamento del pensiero, l'esame di realtà, il disagio affettivo e la capacità di rappresentazione di sé e degli altri nelle relazioni. Una congruenza che Alesksei stesso ribadisce nel parlare del progetto fotografico sottolineando che ciò che l’osservatore vede all’interno del frame fotografico altro non è che il riflesso stesso della sua anima.
L’artista non è forse colui che - come nel mito della caverna di Platone - sa cogliere con creatività idee e concetti perlopiù avulsi e distanti dalla percezione di noi esseri comuni, riportandoli a noi attraverso le arti visive? Egli possiede la capacità di mediare tra ispirazioni e concetti al fine di renderli pura forza, emozione diretta, è la magia dell’arte.
Avviene come uno scambio osmotico: da un lato l’intuizione creativa arriva dall’autore diretta al cuore ed alla testa del fruitore, dall’altro lo stesso fotografo si interroga e gioisce nel veder riconosciuta la sua profonda capacità di narrazione del mondo delle idee con un linguaggio personale.
Ogni fotografia può avere più livelli di lettura. Vi è quello precognitivo, dato dall’esercizio che realizza il nostro cervello in modo totalmente autonomo sull’analisi degli equilibri di forza e composizione di un’immagine: se è bilanciata, appagante oppure al suo interno si creano tensioni. Il secondo livello è dato dalla percezione personale che ognuno ha della stessa immagine. Questo è un esercizio che deriva dall’esperienza di ogni individuo, dalla sua conoscenza, dal numero di immagini viste, dalla sua cultura. Per ultimo ma non certo per importanza, vi è il livello della critica, che riporta elementi di conoscenza dell’autore o di riconoscimento di riferimenti storici e tecnici, nonché altre informazioni professionali impossibili da ottenere se non attraverso lo studio.
Le fotografie di Aleksei Duplyakov hanno l’intrinseca capacità di parlare a tutti questi livelli all’unisono. Possiedono la forza della centratura e dell’equilibrio, grazie anche alla tecnica della “duplicazione” che - in verticale ed in orizzontale - amplifica e sottolinea le linee di forza dell’immagine stessa. Sono scatti che contribuiscono ad alterare esattamente quei punti fermi che vanno a comporre l’idea che abbiamo delle cose del mondo. L’effetto di riflessione elude la classica “osservazione centrale”, obbligando in un certo senso ad un esercizio insolito che mette l’osservatore in condizioni di apertura e di concentrazione estreme. Ed infine la critica, che non può che salutare con entusiasmo tutto ciò che oggi crea pensiero, rielaborazione, esercizio fuori dal senso comune.
In queste fotografie a colori i protagonisti sono gli elementi della natura: rocce, specchi d’acqua, alberi… Ma, nel gioco di duplicazione e riflessione di se stessi, sembrano prendere forma e vita figurazioni antropomorfe, volti di giganti o di folletti di racconti fatati, elementi totemici in cui la realtà esce compromessa nella sua lettura del dato formale, come se il digitale diventasse un mezzo - ancora con ampie possibilità di esplorazione - per traghettare la fantasia, la sensibilità, verso suggestioni che esulino dall’elemento concreto del reale, della scrittura con la luce caratteristica della fotografia analogica.
E’ l’effetto del Sublime, che coniuga il bello ed il terribile e, secondo Schopenhauer, è il piacere che si ha nell’osservare l’intensità o la vastità di un elemento che potrebbe distruggere chi lo guarda.
Al contempo sono messaggi in bottiglia per tutti coloro che sapranno fermarsi ad osservare, rapiti da quei paesaggi così famigliari improvvisamente aperti su inattese visioni oniriche e, a volte, anche inquietanti. Dove finisce la realtà ed inizia l’inventiva? La natura come mezzo di esplorazione fuori e dentro di noi, come metafora di riflessione e di sedimentazione di tutti quei piani di realtà che compongono il nostro quotidiano, e noi con esso.
Live Reflections è un progetto che desidera mostrare come la nostra percezione è spesso un equilibrio instabile tra i sensi e il nostro modo di essere, sempre unico e personale.
Live Reflections parla un linguaggio universale, quello della fotografia, ma con parole personali, quelle che ognuno di voi - guardando i lavori in mostra - si sentirà suggerire dalla propria anima.
Alessia Locatelli
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