L’utilizzo libero del corpo, la relazione con gli spazi ed il coinvolgimento di “persone altre” mi riportano alla memoria alcune ritualità di derivazione ancestrale, come quelle sciamaniche o le danze delle “tarantolate” del sud Italia.
Un legame antico che la performance ha saputo non solo rielaborare alla luce di un percorso storico, ma soprattutto declinare in temi trasversali e contemporanei, che vanno da posizioni più intimiste di esplorazione del sé, alla denuncia sociale.
La vicinanza di questa modalità di fare arte alle teoriche filosofiche postmoderne ne ha ulteriormente accentuato l’efficacia comunicativa, intrecciando e contaminando i saperi, le discipline e le esperienze. La curiosità interdisciplinare, unita ad un curriculum artistico che si concentra dal 1995 su azioni di tipo installativo e performativo, ha permesso ad Elisabetta Oneto di lanciare questo progetto che ha trovato negli spazi di CityArt la sua realizzazione.
Il campo d’indagine di Elisabetta racchiude elementi di attenzione verso lo spazio pubblico, le relazioni umane, la poesia: un connubio notevolmente stimolante che – applicato alla tematica dell’infanzia e della relazione genitore/figlio – ne esalta i tratti maggiormente ludici della ricerca.
Punto di partenza del lavoro è il coinvolgimento nella performance di un gruppo di artisti genitori (o parenti) e dei loro bambini. Il figlio di artista è generalmente orientato a una maggiore creatività e libero uso dei mezzi espressivi: il figlio d’arte assimila inconsapevolmente stimoli creativi derivati dall’avere accanto un adulto-guida con i suoi strumenti.
La relazione con l’adulto si mostra qui attraverso il “lavoro a quattro mani” sul progetto. Ciò permette un duplice livello di lettura delle performances che si terranno nello spazio espositivo: la collaborazione tra figura adulta e bambina, che svela molteplici dinamiche di relazione a livello di gioco e di struttura cognitiva, e la prospettiva prettamente estetica dell’oggetto creato, frutto della collaborazione dei due mondi – quello adulto dell’arte meditata e quello della “libera creatività” infantile, esente da ogni forma di categorizzazione – orientato sulle linee guida fornite nel progetto del genitore.
Bruno Munari, con la cui frase ho deciso di aprire questo testo, è uno dei principali referenti nell’ambito del coinvolgimento attivo dei bambini nell’arte. Nei suoi laboratori, dal 1977 a Brera, si dimenticava ogni tipo d’imposizione morale per lasciare libero sfogo alla sensorialità, all’esperienza, alla sperimentazione. Naturalmente il fine del maestro, oltre allo sradicare le modalità obsolete di approccio all’arte per renderla più amena, era quello di: “promuovere la conoscenza e la comprensione delle tecniche dell’espressione e della comunicazione artistica, affinché si possa fruirne con maggiore consapevolezza e spirito critico” (Associazione B.Munari).
Consapevolezza e spirito critico restano, a mio parere, tasselli fondamentali da contemplare nella costruzione dell’esistenza di un essere umano. Per questo, oggi più di ieri, è necessario sviluppare negli adulti di domani la capacità di valutare ciò che li circonda in maniera autonoma e approfondita.
Ogni artista porrà in relazione il suo lavoro di concetto con la pura creazione dei bambini; Eva Reguzzoni e Matilde, ad esempio, lavoreranno sul soggetto della relazione madre/figlia, sviluppando dei “Vestindumenti”. Partendo dalla considerazione di Abito come involucro leggero che cela e riflette la femminilità, Eva fornirà la traccia bidimensionale di partenza da cui la bambina partirà successivamente per esplorare la sua creatività, ampliando l’abito in relazione al segnodell’adulto/Eva. La famiglia Arosio, con i suoi tre figli: Martino, Simone e Samuele, ricreerà una mappatura emozionale dei ricordi attraverso un’installazione dal sapore didattico, cui faranno corrispondere ad ogni oggetto/fotografica/disegno, relativi alla storia della famiglia, un testo esplicativo.
Non volendo svelare tutti i progetti in anteprima, aggiungo solo che gli artisti coinvolti hanno, ognuno attraverso la sua modalità espressiva, generato “situazioni installative” in cui il visitatore potrà sia interagire e muoversi tra i lavori esposti, che approfondire la sua personale esperienza di relazione adultità/infanza all’interno dell nucleo famigliare. Come la pedagogia sottolinea, questo nucleo è di fondamentale importanza nello sviluppo, in quanto ambito primario di interazione del bambino.
Alessia Locatelli
cityArt
via Dolomiti 11
milano
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