Partendo da queste considerazioni non è difficile comprendere che la pittura debba essere intesa come linguaggio concettualmente complesso, in cui esperienze di natura diversa si sovrappongono, si intrecciano e si amalgamano una all’altra, per restituire l’articolazione della realtà e andare oltre l’effimera apparenza delle cose, inseguendo il filo di una sensitività fluida, eppure capace di rapportarsi dialetticamente al solido impianto della razionalità.
Conseguentemente lo spazio della pittura si pone come luogo dove non è possibile ordinare secondo criteri gerarchici la ragione e il sentire, il percepire e l’immaginazione. Ognuno anzi si struttura secondo i modi che gli sono propri a innescare un meccanismo di rimandi ed equivalenze, che suggeriscono un tempo di fruizione intessuto di attese, di pause e silenzi, obbligando lo sguardo a rallentare prima di immergersi nell’assolutezza di un orizzonte, che mai può essere abbracciato nella sua totalità.
Questi presupposti se da una parte hanno spinto Cursaro all’affermazione di una problematicità della ricerca, dall’altra lo hanno condotto a essenzializzare la struttura linguistica, in un progressivo processo di semplificazione formale, che eliminando ogni dato eccedente fa apparire semplice ciò che non è. Programmaticamente l’artista si muove tra due opposte asserzioni, l’elementarità e la complessità, per creare un equilibrio dinamico, che gli ha permesso di superare ogni predisposizione denotativa, così da saggiare la possibilità di un motivo soggettivo ridotto ai suoi limiti.
La materia cromatica, abbandonata quella pervadente esuberanza che sembrava concretare un’effusiva inclinazione vitalistica, diventa allora velatura diafana, quasi consunta dallo scorrere del tempo, a coprire una struttura complessa di segni e aumentare il nitore di una forma elementare, evocativa e contemporaneamente straniante nella sua geometrica incidenza. Le superfici pressoché monocrome, anche se talvolta un improvviso accento di tono infrange la tessitura, sono imbrigliate da una finissima e quasi impercettibile rete di linee tracciata a grafite, per dialogare con lo spazio, divenuto estensione incommensurabile, in cui lo sguardo può perdersi. Le griglie portano al colore progressivamente rarefatto un che di additivo, come se linee e superfici cromatiche si rinforzassero a vicenda, tanto che le prime sembrano diventare armatura dell’intero dipinto.
Le opere allora si offrono allo sguardo come perfette partiture, in cui la struttura visiva suggerisce sempre l’esistenza di un altrove. La pittura appare sublimata in un costruttivo processo di analisi tautologica, che azzerando ogni valenza sensuale finisce per esaltare tutte le pur minime variazioni di consistenza, di spessore, di tono o di timbro, a evocare ineludibili similitudini tra visibile e invisibile. Nonostante la tendenza alla riduzione, il risultato non è mai freddo, ma sempre coinvolgente in un’ariosità che sorprende e cattura lo sguardo, per condurlo lungo altre direttrici di profondità.
Nel rispetto dell’intrinseca natura dei materiali usati: la grafite, l’acrilico, la tela, scelti per concretare il raggiungimento di una nuova consapevolezza operativa, Cursaro, infatti, ha costruito un percorso verso la chiarezza, per verificare gli statuti di un linguaggio che può riservare sempre nuovi stimoli e occasioni di riflessione, perché non ancora totalmente codificato.
Loredana Rea
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