Daniela Cerpelloni ha un rapporto che si potrebbe ‘magico’ con l’arte perché la sua vita, il suo lavoro, la sua famiglia, la sua quotidianità le consentono di creare continuamente piccoli disegni che sono frammenti di ogni emozione che attraversa il quotidiano.Il disegno è il modo che l’artista utilizza per perdersi e trovarsi in uno stato di benessere o malessere per scoprire, solo dopo aver terminato il disegno, ciò che ha creato. L’arte è piacere sofferenza insieme per la Cerpelloni, non ha una tecnica che le appartiene, prima utilizzava la spatola, pi il disegno, a volte anche impasti con il gesso. Prediligendo la semplicità della carta riesce ad imprimere in essa i solchi della rabbia o la rapidità di un gesto rapido che è concettuale. Linee e curve colorate imprigionano volti, alberi e occhi e sprigionano una tale sinfonia da restarne stupidi. Una parete ricolma di fogli volanti inquadra un rettangolo di colori svariati ed è un fotogramma di vita sempre diverso che si può guardare tutto insieme o stare lì a cogliere ogni dettaglio di un’opera. Andando via i fogli si sollevano per tornare al loro posto, come un saluto all’osservatore poiché il dialogo che ogni volta la Cerpelloni crea con la carta e il colore e lo stesso che tenta di instaurare con chi osserva, come una aperitivo tra tre grandi amiche che si conoscono da sempre e si sentono spesso, ma sempre hanno tanto da dirsi con lo stesso impeto di quando non ci si vede mail.
Monia Minucci ritrae solo volti di donna dai tratti e dalla semplicità essenziale. Priva di artifizi, dai tratti marcati in ogni opera emerge l’animo intricato e complesso dell’intellettuale poetessa che ritrae. Le donne sono sempre tratteggiate sole, vivono in una solitudine continua perse in quello sguardo fisso, tra pensieri e gesti. Tratti decisi e spessi delineano il volto in visi sempre grandi dagli sguardi languidi, pensierosi, a volte persi o dagli occhi socchiusi. La scena del dipinto è divisa tra un fondo dalla gestualità rapida e intricata ed una resa corporea attenta, accurata e minuziosa. Una delicatezza estrema si palesa subito ed una solarità evanescente poiché dietro ogni sguardo si cela la profondità di un animo intricato, complesso e non sempre pacato. Profonde e schiette le protagoniste posano con un’aria semplice e con purezza mettono a nudo l’animo complesso e intricato di chi dipinge. Sono poesia quelle della Minnucci, non ritratti, poiché in ogni parte di quel volto e di quella posa si esprime l’animo combattuto, a volte sofferente, di una donna che ha perso, trovato e perso nuovamente ricordi, amori, incontri, amicizie.
Anna Maria Moramarco stravolge i canoni della convenzionalità figurativa e si avvale delle proprie competenze in architettura in una pittura che apparentemente imprigiona l’uomo ed invece è un urlo alla liberazione. Ebbene sì, sono un grido alla libertà quegli spazi geometrici in cui il protagonista vaga, gira, si aggroviglia: basti notare lo spazio aperto e rotto alle spalle e la volontà dello sguardo di andare oltre. E non solo, l’agilità di quell’uomo dalle fattezze classiche, la grandezza di rendere al meglio il travertino individuano un’arte non convenzionale, che sfonda i canoni del contemporaneo e trasporta in una dimensione avvincente, classica e contemporanea insieme. Quei corpi intrappolati se la cavano inquadra sempre in quel groviglio di linee, si appiattiscono, attorcigliano, adeguano per poi liberarsi.
Francesca Morlacchi è appassionata di anatomia femminile ed ogni opera è un racconto della sua storia che è, poi, la storia di ogni donna. Spesso dipinge partendo dallo studio di un fotografia, a volte dipinge anche dal vero ponendosi davanti ad uno specchio. Ogni corpo custodisce emozioni, paure, gioia, tristezza mescolati o alternati e per questo le sue donne vengono messe a nudo, agli occhi di chiunque, senza vergogna o malizia perché il corpo è ciò che tutti possediamo e la messa a nudo è l’atto più grande di semplicità, purezza, trasparenza. Un tratto leggero, a volte rapido, dettaglia la femminilità con una delicatezza che disarma lo spettatore non per la nudità dei corpi, ma per l’essenzialismo di quei tratti che esplodono in fondi volutamente accessi, un rosso entusiasmante che è rosa-fuscsia od oro ed urlano forte agli occhi in un coinvolgimento completo dell’osservatore poiché tutti i sensi sono intrappolati nella comprensione delle opere d’arte della Morlacchi. Quanta grazia in quei tratti, quanta magia nel tratteggiare genitali femminili in rese di sorprendente raffinatezza senza mai sfociare nella rocaggine.
[…]
Ogni grande numero di magia è costituito da 3 parti.
La prima si chiama PRESENTAZIONE: il mago mostra qualcosa di ordinario che naturalmente non lo è.
La seconda si chiama COLPO DI SCENA: il mago trasforma quello di ordinario in qualcosa di straordinario. Non cercare di scoprire il segreto perché non ci riuscirai.
Per questo esiste una terza parte chiamata PRESTIGIO dove succede l'inaspettato, dove vedi qualcosa che non hai mai visto prima".
The Prestige, USA, Gran Bretagna 2006
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