OMBRE CELESTI
Mostre, Bari, Adelfia, 05 February 2012
NULLA DIES SINE LINEA *

Il disegno è la più diretta e immediata forma di espressione, la più vicina al “concetto”.
Esso presiede anche alla genesi e segue costantemente l’evoluzione delle varie forme di scrittura.
Sarà per questo che la grafica di Francesco Porcelli assomiglia incredibilmente ad una pagina di prosa.
Le dieci opere presenti rivelano uno sguardo impassibile sulla realtà, irresistibilmente attratto dalle linee di confine tra terra e mare, tra terra e cielo, in un’ atmosfera sospesa, arida e desertica che sembra promettere la rivelazione del noumeno, la realtà in sé, disadorna ma essenziale.
Nasce da questa attesa fervida la pietà per ciò che si scorge : vaste e serpentine fasce di detriti, residui di una presenza umana ormai svanita col suo carico di disillusione, un paesaggio maculato di rovine industriali che infetta le profonde ferite inferte alla Madre Terra.
Laggiù il cubo di una rimessa assediato da una luce cruda dentro il quale palpita un’ ombra scura e fresca; più oltre un sito scabro punteggiato di incongrui arbusti fossili, appare simile ai paesaggi delle carte lunari, al centro del quale si leva lo stelo di un palo solitario.
L’uomo è assente, parlano di lui i fitti segnali della sua presenza : la minacciosa e sgangherata selva di antenne puntata verso il cielo che sembra alludere alla ricerca di un’ altra possibilità dell’essere, non più nella Natura.
Si distinguono appena gli aulici relitti architettonici posti programmaticamente sullo sfondo a significare l’improbabilità di un ritorno; dialogano con loro, in primo piano, massi erratici composti in suggestivi gruppi, cosparsi di ciarpame da discarica, cespugli e arbusti stentati, pietrisco frantumato e rimescolato dagli elementi, prosciugato.
Porcelli evita, però , la retorica pop di tanta contemporaneità , non si abbandona all’ estetica variopinta e ammiccante dell’ arte del riciclo ma affoga tutto nel severo monocromatismo dell’ acquaforte, del carboncino, della grafite.
E’ un narratore che non si compiace mai né intende compiacere, preferisce registrare meticolosamente , sembra tenere un diario, a cui giorno per giorno aggiunge una linea : nulla dies sine linea, un esercizio quotidiano che oltre a rivelare l’aspirazione alla verità dichiara il progetto dell’artista tutto compreso nella tensione al progresso, verso la maturità formale.
Se per introdurre la peculiarità della produzione grafica del nostro ho utilizzato la categoria della prosa, mi sarà concesso recuperare quella di poesia per commentare la serie di nove dipinti presentati contestualmente.
Come sempre è avvenuto nella tradizione dell’ arte occidentale, il disegno, al servizio di tecniche artistiche più sofisticate come il mosaico o la pittura, è destinato ad andare perduto, ad assolvere in realtà quella funzione di ossatura della figurazione, di supporto plastico del colore, di struttura della composizione .
L’ opera pittorica che Porcelli presenta in questa personale sembra voler documentare una transizione : dalla lucida acribia del segno grafico limpido e netto al tocco espressionista che lo contamina all’ apparire del colore, prima entro i contorni ancora visibili del disegno poi unico strumento espressivo, finalmente libero di reclamare per sé il ruolo primario di sostanza, perché in questi dipinti il colore non colora ma costruisce la forma, riflette la luce non lasciandosene intridere.
La severa scelta dello schema cromatico freddo enfatizza il risultato smaltato e compatto di alcune composizioni che fanno pensare alla pittura di macchia ma Il processo una volta avviato non si arresta e presto i volumi si sfocano, dissolvendosi, dilavandosi fino ad assumere un aspetto fantasmatico : solenne / elusivo, lirico / allusivo; poetico .
I temi affrontati nei dipinti sono ad un dipresso gli stessi della grafica, a tratti i medesimi che si ritrovano a dialogare tra loro, contendendosi un primato che forse semplicemente non esiste o l’ artista non è per nulla interessato ad assegnare.
E’ programmatica la preferenza accordata ai pomeriggi di luce abbacinante, spazi deserti contengono mare, cielo, lembi di terra sui quali si riversa una solida massa luminosa che invece di rivelare sembra impedire, con la compattezza della radiazione, ogni possibile comprensione.
E’ quella luce farneticante che il Sud ben conosce che scolorisce i fiori e ingiallisce il verde, un furore energetico che ha come ineluttabile esito la morte.
Le rovine post-industriali vengono qui inquadrate con decisione, campeggiano al centro delle composizioni, alcune sembrano atteggiarsi come edifici sacri distendendo orgogliosamente le ampie navate che per un lungo periodo hanno accolto le quotidiane liturgie in onore della produzione, del progresso, oggi deserte.
Emerge infine la fisionomia di un autore padrone di tecniche ma intenzionato a non vincolarsi a nessuna; il ritratto di un artista giovane, austero e riflessivo che conduce una promettente ricerca formale e che si interessa del mondo cercando di conoscerlo e forse di amarlo.



*La locuzione latina NULLA DIES SINE LINEA, tradotta letteralmente significa:” nessun giorno senza una linea” (Plinio il vecchio, Storia Naturale, 35). La frase è riferita al celebre pittore Apelle, che non lasciava passar giorno senza tratteggiare col pennello qualche linea. Nel significato comune vuole inculcare la ne-cessità dell’esercizio quotidiano per raggiungere la perfezione e per progredire nel bene.

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