Le sue opere sono il risultato di un complesso processo progettuale-esecutivo che altera la purezza dei differenti linguaggi espressivi di cui l’artista è capace. Budano orchestra abilmente fotografie, frames di video, immagini in 3D e sculture, filtrate dall’uso sapiente e calcolato delle più moderne tecniche di photo-editing. L’artista si affida alla tecnologia nella cui potenza crede. Si avverte in lui, inoltre, un piacere materiale connesso alla costruzione dell’immagine. Le fotografie digitalmente rielaborate vengono ritoccate, cucite, spatolate, strappate e, finalmente, stampate. Interventi manuali che portano a «sporcarle» con la finalità di renderle, come afferma Budano, «umane». L’elaborazione concreta dell’artista si riscontra altresì nell’inserimento, all’interno dei suoi lavori, di sculture: realizzazioni in gesso che richiamano ritrovamenti fossili, conchiglie giganti, palpabili balene; elementi che concorrono alla complessità di opere ibride dal forte impatto visivo ed emozionale. La dualità contrapposta profondamente marcata, da sempre «concetto» del suo lavoro, naturale/artificiale, manuale/digitale e, in assoluto, arte/tecnologia, trova una comunione nella resa sintetica delle sue opere.
Un ulteriore dualismo si riscontra nel rapporto tra reale e virtuale: la coesistenza a livello iconografico di queste due realtà non trova però un riscontro effettivo tra il mondo reale e quello immaginato da Budano. Questi, invero, tramite un linguaggio figurativo di richiamo espressionista, mostra un rinnovato desiderio di palesare la propria visione della realtà che, nella concretezza tecnica dell’opera, viene superata, rinnovata, trasformata in una realtà altra, ulteriore, “ultra-espressiva”. L’artista, moderno demiurgo, plasma un suo mondo secondo una singolare visione di proiezione universale. Presenta scenari marittimi, Budano, il quale sostiene: «l'acqua, il mare mi hanno sempre affascinato per la loro natura misteriosa e liquida, nella loro indefinizione ritrovo me stesso». Guarda al mare, dunque, e nella labilità di questo riaffiorano sfuggenti ricordi che scoprono un “io” rinnovato in un mondo “altro”. Si scorgono allora balene che nuotano solitarie mentre altre paiono riposarsi sulla spiaggia, rischiarandola della loro preziosa presenza. Si osservano navi il cui passaggio, annunciato dal fischio delle ciminiere, spezza il “rumoroso silenzio” marittimo; altre invece, di “fatiscente imponenza”, avanzano invano verso la terra che ne bloccherà irrimediabilmente il cammino. Me, You, questi i nomi con i quali l’artista appella le navi. Un richiamo a sé, alla propria vita, ai propri cari, ma l’impersonalità di tali appellativi invita chiunque a una sentita identificazione.
Un mondo sensibile quello descritto da Budano, un mondo ancorato fortemente al passato di cui se ne respira il sapore nella resa fotografica stessa delle opere: stampe in bianco e nero che ricordano vecchie fotografie di comune memoria. Anche il video Sea passages, che anima le stampe, riecheggia produzioni cinematografiche dell’est dall’oramai superata lentezza.
La modernità però incombe in questa realtà, in cui si percepisce una proiezione verso un futuro incerto, minaccioso. Scrutando ancora una volta il mare, si notano cantieri navali dismessi, banchine desolate, piattaforme petrolifere abbandonate e, nella cupezza quasi apocalittica di questi scenari, si avverte una presenza altra, aliena: bracci meccanici, ponti, singolari intrecci tubolari. Si tratta di insoliti testimoni di un futuro incombente che attestano maggiormente la necessità dell’artista di guardare al passato, avvertito come sicuro.
Lo sguardo di Lino Budano si posa anche sulla nostra città e la mostra in maniera inedita. Trasportandoci in un tempo lontano, egli racconta di una Varese marittima, circondata dalle acque. Nell’antichità, invero, la nostra terra non esisteva ancora, era sommersa dall’Oceano Tetide. All’emergere della superficie terrestre, l’Oceano si è ritirato, lasciando numerosi fossili. Con grande consapevolezza Budano li mette in luce nelle sue opere: enormi conchiglie su sabbiosi tappeti di sfarzo barocco nei giardini di Palazzo Estense; ossa di balene esibite davanti alle Ville Ponti; una coda di balena – presenza ricorrente – emerge invece dal parco di Villa Panza. Testimonianze di un antico oceano, che ritorna a bagnare la città, a circondarne i palazzi, i monumenti, le ville: edifici di affettiva memoria varesina. Si scorge la storica palestra di via XXV Aprile, ancorata al suo lembo di terra eroso dal mare, o la scalinata di Villa Tallacchini, che conduce a un “giardino marittimo”, dove le statue ne testimoniano con fermezza le antiche glorie. Un ritorno a un passato mai conosciuto dall’uomo e, al contempo, una proiezione futura di un mondo in potenza. In tale “avveniristico passato” ci si imbatte in un inconsueto ponte che da Villa Panza si articola nel cielo ed invita una coppietta – unica rappresentazione di un’umanità spersonalizzata – verso un’imprecisata destinazione. Con sgomento si nota una navicella spaziale minata che incombe sulla questura: sono i segni di un’invasiva presenza aliena in un mondo in cui l’“io” fatalmente è sottratto. Il richiamo a Francis Bacon, è forte. Come l’artista inglese, anche Budano ritrae il disagio dell’uomo contemporaneo, sconfitto, alienato dalla solitudine, abbandonato in un mondo nel quale a fatica si riconosce, un mondo alieno. L’uomo non è raffigurato ma, nella saldezza degli edifici, nelle navi, nella morsa di un cavallo che passeggia in un viale del Sacro Monte, oramai circondato da una distesa marittima, se ne riscontra la presenza.
L’artista blocca il flusso inarrestabile dell’esistenza dell’uomo – ancora protagonista del mondo – e lo trasforma in un’immagine assoluta creata attraverso una sovrapposizione di livelli, layers, che, come dei veli, vanno a celarne le apparenze. Quella rappresentata nelle opere di Budano, quindi, altro non è che la realtà mostrata nella sua profonda verità, la realtà rivelata. Tale realtà reca in sé una lacerante sensazione di angoscia diffusa che, oggettivata nelle opere dell’artista, verrà risolta nella presa di coscienza di sé, del mondo, della contemporaneità. L’uomo di Budano, pertanto, andrà alla ricerca delle proprie radici profonde e, diffidando dell’esterno, avvierà una riflessione su se stesso e sulla propria identità proiettandosi verso quel futuro incerto a cui naturalmente tende. Allo stesso modo lo spettatore, smosso dalla sua arte, è invitato a un’emozione che, probabilmente, sarà incipit di una riflessione sulla realtà appena rivelata.
Un fine propositivo quello di Lino Budano che, sfiorando le emozioni, invita al pensiero.
Federica Soldati
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