Mostra Personale "Riflessi Profondi nella Vitalità del Gesto"
Mostre, Pescara, 05 November 2011
Un pomeriggio pieno di autunno, una tazza di caffè caldo, Alfonso seduto di fronte a me racconta del suo fare d’arte. Mentre lo ascolto sfoglio un plico dove sono raccolte le opere prodotte negli ultimi mesi, visibilmente altro da quelle già conosciute da me e dalle persone che da tempo lo seguono
con grande interesse e ammirazione. Lavoriamo intensamente alla selezione ardua e complessa dei quadri da esporre in occasione della prossima mostra. Di tanto in tanto sollevo lo sguardo ed osservo l’artista nel suo doloroso lavorìo di scelta forzata, di cerebrale distanza e allontanamento, di innaturale rinuncia, lui se ne accorge, gli angoli tiranti delle labbra inarcano un sorriso vero, gli occhi brillano di una luce ficcante e cristallina. In quel preciso istante e in quel preciso luogo non-luogo dove si incrociano i linguaggi non detti, lì dove albergano, in fermento, i principi attivi della sfera emozionale, solo in quell’attimo intuisco la cifra artistica di Alfonso Camplone. La sua arte muove essenzialmente dalla generosità implacabile e viscerale. Alfonso ci fa da guida, così come esplicitamente evidenziato ne “L’accompagnatore di anime”, egli ci indica la via nel dedalo sinuoso che disegna il suo viaggio interiore; sentieri già battuti e rassicuranti, altri ancora sconosciuti e imprevedibili che si snodano tra ritagli e riflessi onirici, tra memorie e frattaglie inconscie, tra miti, archetipi e codici sonori. Tutto ciò che l’artista vive, introietta, metabolizza e restituisce agli altri, si compie attraverso un linguaggio espressivo incorruttibilmente universale. Il gesto vitale traccia e libera la fluidità di momenti interiorizzati, sedimentati, a volte irrisolti o semplicemente immaginati, sognati, pensati. Ma è ancora il tema del viaggio, a fare luce in questo pomeriggio che sta volgendo alla sera.
E’ un percorso accidentato, livido, bugiardo, lungo, esistenziale sorvegliato e sostenuto dalla forza d’animo, dall’onestà intellettuale e morale dell’artista che attraverso suggestioni di tipo sciamanico – tribali o rievocazioni mitiche e ancestrali accoglie in sé e restituisce un messaggio positivo, di salvezza, di speranza. In opere come “Via la paura” e “Battaglia interna”, e nella serie con in draghi, Alfonso Camplone
dichiara guerra agli istinti bassi dell’uomo e alle paure inconscie, ataviche, ma anche al terrore indotto, costruito a tavolino, quasi da indottrinamento o da bombardamento mediatico. Da questo forziere che costringe l’anima ad un riscatto carnascialesco, l’artista si libera e con un atto di estrema generosità e ci indica la via d’uscita, la “Forza che ci solleva”. Una spinta propulsiva, un salto elicoidale tra vortici, linee fluenti e cromatismi esplosi, polifonia e policromia, “D’aria e musica”. Il viaggio continua, scorre non sempre privo di imprevisti e pericoli; ne “Il tempo dell’uomo”, opera di grandissima carica simbolica, l’essere umano, partecipe come tutti gli esseri viventi dell’orchestrazione armonica dell’universo, sembra occupare, in primo piano, un posto privilegiato nello spazio; in realtà, sospinto anch’egli da una sorta di vortice cosmico, si avvicina solo temporaneamente sul limitare della scena ma ben presto verrà riassorbito all’indietro dalla forza del tempo. La presenza di alcuni elementi figurativi come la testa di un uccello, di un serpente (animali primordiali e cosmogonici),di una chiave musicale e di una falce possono suggerire una interpretazione fortemente simbolica dell’opera. “Far parte del tempo che scorre” quindi, un tempo in cui ci sia ancora la presenza dell’uomo. In quest’opera Alfonso Camplone si misura con un tema iconografico fortemente radicato e significativo; è evidente che si tratta di una figura femminile con un bambino. La presenza di un corso d’acqua potrebbe rimandare all’immagine del Nilo (e in proiezione astronomica alla Via Lattea), se così fosse saremmo di fronte ad una meravigliosa icona egizia che raffigura Iside con il figlio Horus (oro/luce).E’ senza dubbio un omaggio all’universo femminile, alla fecondità, alla fertilità, alla maternità, alla purezza, alla continuità, alla speranza di una nuova vita, di una vita migliore; un tema che prelude alla fine del viaggio che si conclude con uno dei lavori più commuoventi ed evocativi dell’artista pescarese: “Il figlio della luce”.

Christian Dolente
(Resp. Servizi Educativi – Museo delle Genti d’Abruzzo )

Commenti 1

Waldemar Dabrowski
12 anni fa
Very interesting work. Congratulations exhibition...!

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