Quando si entra nel mondo di Michelangelo Barbieri, di fronte alle sue navi leggere ci si trova nel bel mezzo di una tormenta d’emozioni, catapultato in una tempesta perfetta davanti ad un naufragio con spettatore. La sensazione è quella di essere salvi dai ricordi che ormai pensavi di aver dimenticato ma improvvisamente riaffiorano e si ergono come queste splendide navi, esili, sottili, pungenti e magiche. Piccoli colossi di legno, rame e ottone che mantengono la loro leggerezza quasi fluttuassero nell’aria e tra le nuvole. Contengono al loro interno parti di una casa
che vuole e deve ancorarci alla vita terrena ma alla quale sfuggiamo costantemente. Cosi Michelangelo ci fa entrare nella sua intimità, nella sua home che al suo interno svela il tormento tipico del viaggiatore che preso dalla follia di partire brama la voglia di tornare. La nave come habitat e quindi come luogo ideale, come tua casa che ti da sicurezza e certezza perché la vedi e la vivi da dentro, ma ti accorgi che è una nave solo se la scorgi da fuori.
Non è un caso la scelta dell’ex Ghiacciaia che per questa mostra ritorna ad essere un luogo/rifugio e una dimora temporanea che ospita noi e le Navi leggere di Barbieri. Antico ambiente, la Ghiacciaia, venne costruita nel cinquecento, poi inglobata durante l'erezione del Palazzo della Famiglia Maccaferri nel 1906. Di grande impatto storico i numerosi cunicoli che corrono intorno alla stanza principale, vennero scavati e usati come nascondiglio privato durante l'ultima guerra. In questo fresco tempio, dove, durante il secondo conflitto mondiale sostavano speranzose le persone, oggi a temperature glaciali il rimando a quegli abissi marini in cui la paura dei bombardamenti gelava i cuori permette all’ arte di regnare sovrana.
Una flotta di barchette in Origami ci condurrà attraverso i tortuosi corridoi che custodiscono impressi nella struttura i ricordi della storia della città. Passaggi sotterranei in cui nei momenti di assoluto silenzio, fermati gli scoppi, oggi come allora si può sentire scorrere il corso d’acqua interrato. Allora non è forse vero che la Ghiacciaia “galleggia” come le barche di Michelangelo Barbieri?. Qui, dove si conservava il ghiaccio, dove la memoria e la temperatura fanno ancora venire la pelle d’oca, il colore del vino incontra quello del rame, le mani infreddolite si avvicinano alle opere fino a sfiorarle, le stesse mani che poco prima afferravano un freddo calice di nettare divino. Ancora una volta l’incontro tra dionisiaco e apollineo, tra enogastronomia e cultura permette all’uomo di concedersi attimi di evasione, abbandonandosi a viaggi mentali veicolati dal corpo e dalle sue emozioni, confluendo in un esperienza estetica ed estatica irripetibile e unica. Non ci si spiegherebbe altrimenti il simposio senza tempo di questi due elementi, che accompagnano tanto l’artista quanto il collezionista verso il tumulto dell’ebbrezza. Trionfo dei sensi, peccato o virtù, la vista incontra il gusto nel piacere di poter assaggiare del buon vino e accompagnarlo a semplici ma ricche pietanze per poter assaporare in completo appagamento ciò che gli occhi avevano precedentemente carpito. Cacciata dalla tradizione e dalla religione nell’abisso del proibito, la gola, può prendersi una rivincita tornando a ragione a far parte del mondo dell’arte. Quindi perché astenersi dal farlo nella ghiacciaia che, come un museo, un tempo custodiva gelosamente gli alimenti e oggi si apre per esaltarne vista, gusto, tatto, olfatto e udito?
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